Libero, 7 maggio 2018
Luca Ricolfi: «Bisogna rendere autonomo il Sud dal Nord»
La soluzione della crisi, gli scenari politici, ma anche la divaricazione nord-sud espressa pure dal voto. Ecco i temi di questa intervista con uno degli osservatori italiani più attenti: il sociologo Luca Ricolfi, torinese, classe 1950, docente di Analisi dei dati all’Università di Torino e direttore scientifico della Fondazione David Hume (www.fondazionehume.it). Professore, doveva nascere la terza Repubblica e sembriamo tornati alla prima? «Non esattamente, nella prima non c’erano tre poli, ma uno e mezzo: il pentapartito ed il Pci col divieto di andare al governo». Si intravede la possibilità di un governo di transizione con tutti dentro tranne il M5s, che ne pensa? «Che sarebbe un regalo ai Cinque stelle». Quali le urgenze da risolvere per il nuovo esecutivo? «Produttività e occupazione, ovvero il ritorno ad una crescita annua del 2-3 per cento». E la sempiterna riforma della legge elettorale? «La meno peggio sarebbe una legge a turno unico, che dia il 51 per cento dei seggi alla coalizione vincente. Qualsiasi soluzione però per funzionare dovrebbe comprendere l’abolizione del Senato, o quanto meno consentire un riparto dei seggi senatoriali su base nazionale anziché regionale. In altre parole, una legge elettorale decente non si può fare se prima non si ritocca la Costituzione. Su questo Renzi ha ragioni da vendere». Ma quando si vota secondo lei? «Non lo so, ma penso che molto dipenda dal duo Salvini-Di Maio». Perché l’accordo M5s-centrodestra non ha funzionato? «Perché Di Maio, come buona parte del popolo di sinistra, ritiene che Berlusconi sia radioattivo». Si è palesato anche un esecutivo M5s-Pd e lei ha detto che si rischiava la secessione? «Non proprio la secessione, che è ovviamente impossibile, ma un ritorno di spinte secessioniste, specie sul piano fiscale. E dato che i ceti produttivi stanno non solo al Nord, ma anche nelle cosiddette regioni rosse, mi aspetto che la risposta a un governo di sinistra qualunquista, quale io considererei un esecutivo M5s-Pd, veda in piazza non solo il centrodestra ma anche quella parte del Pd contraria all’assistenzialismo». Analizzando il programma del M5s li trovava statalisti e ora ha detto che Di Maio ha perso voti dando l’impressione di equiparare Lega e Pd e di voler andare al governo a tutti i costi. Non sono loro il futuro della sinistra? «No, ma vedremo: il M5s è una formazione qualunquista, che però effettivamente può evolvere in una specie di Podemos o di Syriza, cioè in una sinistra postmoderna, assistenziale e antimercato». Cosa pensa del ritorno di Renzi? «Su di lui sono ambivalente. Per certi versi continuo a non apprezzare la presunzione, il semplicismo, la mancanza di autocritica, nonché numerose scelte passate, come l’accoglienza indiscriminata, il bonus da 80 euro e altre mance. Per altri versi, mi pare che, con pochissime eccezioni, il gruppo dirigente del Pd sia così modesto che persino un leader con evidenti limiti di carattere e di comprensione della realtà appaia come un gigante. Al momento, l’unico con delle chance è Matteo Richetti, su cui però so troppo poco per esprimere un’opinione meditata». Renzi non potrebbe ricandidarsi alla segreteria? «Se tornasse ora ci sarebbe una mezza rivolta nel partito. Secondo me questo può avvenire in altri due modi: facendo un suo partito, o aspettando che il Pd, divorato dalle lotte intestine, lo richiami come salvatore della patria. Un po’ come accadde a Veltroni anni fa, ma il precedente dovrebbe consigliare prudenza». Ma il Pd è morto o solo tramortito? «Sicuramente è tramortito, ma difficilmente morirà in fretta. Sulla strada da prendere, molto dipende dagli obiettivi. Per conservare il potere, quella maestra è una alleanza stabile con il M5s. Così potrebbe aspirare al ruolo di secondo partito della sinistra. Per conservare l’identità invece dovrebbe rinnovarsi molto, trovando il coraggio di cambiarla questa benedetta identità di sinistra». E in che modo? «Con un certo coraggio, perché al giorno d’oggi non è possibile né riproporre i modelli del passato remoto, come fanno i dinosauri di Liberi e uguali, né i modelli del passato prossimo, come la Terza via di Tony Blair. Fra la Terza via e oggi ci sono state il boom della Cina, la rivoluzione digitale, la crisi economica, l’esplosione dei flussi migratori e i progressi dell’automazione. Se non sa fare i conti con tutto ciò, la sinistra è morta». E il centrodestra a trazione Salvini come lo vede? «In salute, ma penso che il declino di Forza Italia sia dannoso per il centrodestra: se si lascia risucchiare dalla Lega il consenso complessivo della coalizione incontrerà inevitabilmente un limite perché ci sono ceti e individui che non voterebbero mai la Lega, ma sarebbero pronti a sostenere un partito di destra più classico». Si creerebbe un nuovo spazio insomma. «Il problema è che anche Forza Italia è sempre meno adatta a intercettare questo tipo di elettorato e in un certo senso ha il medesimo problema del Pd: se non vuole ridursi all’irrilevanza deve aprire una lunga stagione di rinnovamento e autocritica». La Lega sembra l’unico partito ad affrontare il tema dell’immigrazione, come mai continua questo tabù sia per i problemi di integrazione sia per quelli di criminalità? «Perché tutti i partiti temono di urtare la Chiesa, il Papa, e più in generale il mondo delle persone di buona volontà, che sempre insorgono ogniqualvolta dalla rivendicazione dei diritti si passa all’indicazione dei doveri, specie se si osa pretendere che anche gli ultimi, o i presunti ultimi, rispettino le regole». Mattarella ha detto che la disoccupazione giovanile è troppo elevata e che al sud la mancanza di lavoro ha proporzioni inaccettabili. Come inquadra questi problemi? «La verità forse è difficile da dire: i cittadini del Sud hanno un’altra cultura, un’altra mentalità, altri valori, e quindi non vogliono vivere come nel Centronord. Io li capisco, e un po’ li invidio. Credo che l’unica soluzione sia concedere piena autonomia al Sud. Nessuna secessione delle regioni del Nord, ma creazione di una grande area meridionale con istituzioni, fisco e politica economica propri. Culturalmente, ma anche sul piano dell’organizzazione economico-sociale, il centro è più simile al Nord che al Sud, dunque tanto vale che vi siano due Italie libere di governarsi come desiderano, quella del Centronord e quella del Sud, finalmente liberata dal giogo dell’unità nazionale».