La Stampa, 3 novembre 2017
Le contraddizioni di Barbagallo
Le fusioni mancate tra le due banche venete, le pressioni della Vigilanza per far fondere le due banche, la vicenda della mancata opa su Banca Intermobiliare. Tre punti sui quali emergono delle incongruenze tra le versioni uscite dall’audizione di Barbagallo e i documenti di Bankitalia visionati da La Stampa.
Le fusioni prima della Bce
«La fusione andava fatta dopo l’Aqr della Bce», dice il capo della Vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo. L’Aqr è la verifica fatta dalla Bce sulla qualità degli attivi delle banche europee, nel 2014. La domanda era sulla fusione tra Veneto Banca e Popolare di Vicenza, ma Barbagallo sembra riferirsi alla fusione tra Vicenza ed Etruria. La differenza è sostanziale. Secondo i documenti interni di Bankitalia visionati da La Stampa, le due operazioni «muoiono» a 4 mesi di distanza l’una dall’altra. Solo che per la prima (Vicenza-Veneto), l’allora presidente Flavio Trinca chiede a Barbagallo, il 19 febbraio 2014 di fronte a Zonin, di aspettare il risultato dell’Aqr, mentre Barbagallo replica di ritenere «non accettabile la richiesta del dottor Trinca di valutare l’operazione al termine dell’Aqr». La situazione cambia di poco se ci si sposta su Etruria. Il 16 giugno 2014 da Barbagallo ci sono i vertici di Etruria e ancora quelli di Vicenza. Lorenzo Rosi chiede tempo, la replica è che «tale operazione andrebbe perfezionata entro novembre», appena dopo i risultati dell’Aqr (fine ottobre).
Le spinte per Vicenza
Uno dei passaggi sui quali i commissari hanno più insistito è quello delle presunte «spinte» per far fondere Vicenza e Veneto Banca. Bankitalia ha ribadito che non c’è stato nessun favoritismo e che l’esigenza di fare in fretta nasceva dalla necessità di un ricambio radicale ai vertici di Veneto Banca dopo le gravi inadempienze emerse dall’ispezione del 2013. Nei documenti visionati, l’unico riferimento esplicito è ancora quello contenuto nel resoconto dell’incontro di febbraio. Dove Barbagallo sottolinea che «l’attenzione della Banca d’Italia per l’operazione di aggregazione tra le due banche nasce dalla constatazione della presenza di numerosi elementi comuni e dalle sfide che pone il processo di integrazione dei mercati bancari europei». Numerosi sono invece i riferimenti alle «pressioni» di Bankitalia negli atti dei procedimenti. Ma a farli sono i vertici di Veneto Banca, che intercettati ne parlano tra di loro. Nella corrispondenza tra la Veneto e Bankitalia, nell’elenco delle possibili aggregazioni, Vicenza appare sempre al primo posto mentre è palese e più volte affermata anche pubblicamente la ritrosia dell’istituto di Montebelluna a fondersi con Vicenza.
La mancata opa su Bim
Qui a fare un errore è la Bce. Il tema è stato al centro di una serie di domande, le cui risposte sono state secretate perché la procura di Roma ha aperto un fascicolo dopo le denunce dell’ex ad, Pietro D’Aguì. Nel 2014 una cordata guidata da D’Aguì fece un’offerta per ricomprare Bim L’offerta venne respinta un anno dopo e secondo l’esposto di D’Aguì alla procura di Roma l’azione di Bankitalia è stata viziata da una serie di errori materiali. Tra questi l’aver indicato alla Bce che lo stesso D’Aguì non era in possesso dei requisiti di onorabilità per essere stato condannato in primo grado per ostacolo alla vigilanza, mentre la sentenza (di assoluzione) sarebbe arrivata solo un anno dopo, nel 2016. Le lettera della Bce che blocca l’operazione (giugno 2015) dice in effetti che sull’accusa «la sentenza di primo grado è stata appellata». Ma la lettera di Bankitalia a Francoforte dice altro: che il processo di primo grado è in corso, come in effetti era al tempo. La Bce dice inoltre che sulla base della normativa allora vigente D’Aguì aveva i requisiti per fare l’ad, ma che la sua posizione avrebbe dovuto essere rivista dopo l’entrata in vigore delle nuove norme europee.