il Fatto Quotidiano, 7 novembre 2017
Nessuna invasione: qualche barca parte, ma il dramma è in Libia
Un’invasione di migranti in Italia? Lo dice chi soffia sul malcontento di una parte dell’opinione pubblica ma più dell’ideologia conta l’aritmetica. Nei primi dieci mesi del 2017, dato aggiornato a pochi giorni fa, sono sbarcati in Italia 111.397 migranti e richiedenti asilo; di questo passo si arriverà forse a 120 mila. Molti meno rispetto all’anno precedente quando si era toccato il record di 181.436. Nel 2014 la cifra si era fermata appena sopra le 170 mila unità, poi scese a 153 mila nel 2015. In Italia al momento sono 247 mila i richiedenti asilo e protezione umanitaria, lo 0,4% della popolazione, con la media Ue al 0,6% ma con Paesi molto avanti, vedi la Germania con 1,2 milioni (1,5%) e soprattutto la Svezia, 367mila (3,2%). Difficile pensare che, col peggioramento delle condizioni meteo, il numero complessivo sia destinato a crescere di molto.
Se confrontiamo il dato massimo degli sbarchi con il numero di profughi presenti in alcuni Stati del Medio Oriente, ci accorgiamo di quanto il termine “invasione” sia esagerato. In Giordania, oltre a una popolazione di 6 milioni di abitanti ce ne sono altri 2 milioni arrivati dagli scenari di guerra della regione: Siria, Iraq, Yemen. Che dire del Libano, appena 4,5milioni e quasi 2,5 milioni di profughi? Il record spetta alla Turchia che, dopo aver incassato 6 miliardi di euro dall’Ue, ha sigillato i confini e accolto il grosso di siriani, ospitando oltre 3 milioni di persone nei 26 campi allestiti.
Certo, tornando all’Italia, se il ministro dell’Interno, Marco Minniti, non avesse avviato il giro di “consultazioni” in Libia e Niger, per prendere accordi anche con soggetti poco raccomandabili, si sarebbe sfondata la soglia dei 200 mila arrivi. Problema risolto? Forse. Gli ultimi giorni, con una lieve ripresa degli arrivi rispetto ai mesi di agosto e settembre, specie dalla Libia, confermano una tesi incontrovertibile. Secondo alcune stime, sarebbero almeno 700 mila i profughi africani bloccati in Libia, dentro e fuori delle carceri dell’orrore. Poche migliaia, al contrario, quelli che sono tornati nei Paesi d’origine con i rimpatri assistiti voluti dall’Onu. Lo specchio di mare del Paese che fu di Gheddafi è pattugliato dalle autorità locali, ufficiali e ufficiose, ossia i capi tribù con cui anche l’Italia ha preso accordi facendo impegnative concessioni, ma controllare 350 chilometri di costa non è semplice. Specie se i due governi auto-riconosciuti, quello della Cirenaica con capitale Tobruk controllato dal generale Khalifa Haftar e l’opposto in Tripolitania guidato da Fayez al-Serraj, si fanno la guerra.
Le coste tunisine si trovano a poche decine di miglia da Lampedusa e Pantelleria, meno di 20 ore di navigazione. Tra settembre e ottobre ne sono partiti oltre 4 mila, quasi il triplo rispetto ai primi otto mesi dell’anno. La nave con 764 migranti di 30 nazionalità diverse, è approdata sabato scorso a Reggio Calabria dopo aver raccolto gruppi di migranti a bordo di svariate “carrette” del Mediterraneo. Imbarcazioni che erano riuscite a sfuggire ai controlli delle autorità libiche ed egiziane.
In Africa c’è una massa di disperati che spinge per arrivare in Europa. Chi si è illuso che problema fosse risolto ha sbagliato. Secondo stime prudenti, ci sarebbero almeno due milioni di profughi dell’Africa sub sahariana, disposti a tutto pur di superare le barriere poste dagli accordi bilaterali. Con la rotta principale momentaneamente congelata, quella libica, i flussi cercano di orientarsi altrove. A Occidente ci sono le due enclave spagnole in territorio marocchino di Ceuta e Melilla, letteralmente blindate, ma che quest’anno hanno visto un +91% di ingressi rispetto al 2016. Qualche falla c’è sempre e questo i profughi l’hanno capito. Si tratta, tuttavia, di numeri ancora bassi.
L’Algeria ha fatto di peggio: oltre a contrastare la migrazione, concedendo poche migliaia di partenze, soprattutto verso la Sardegna, il governo del presidente Bouteflika, contro ogni diritto internazionale, continua a espellere migranti subsahariani con la forza. Per i migranti, raggiungere la Sicilia dall’Algeria è troppo rischioso, meglio puntare verso nord e il porto di Cagliari, piuttosto che le coste spagnole, super pattugliate. Passando a est, l’applicazione degli accordi con l’Unione europea ha spinto la Turchia a sigillare la sua frontiera con Grecia e Bulgaria. Il risultato? Circa 10 mila profughi bloccati da quasi due anni nelle isole greche di Lesbo, Kos e Samo, stremati e senza futuro.