Il Messaggero, 5 novembre 2017
Parla il padre della ragazza stuprata
«Forse, ora che li hanno presi, svegliandomi al mattino potrò tornare a sorridere. Conto nella giustizia e spero che quei due siano puniti per quello che hanno fatto a mia figlia e alla sua amica. E se così non fosse, fuori ad aspettarli, stavolta, ci sarò io». Ha la voce ferma il padre di Paola (la chiameremo così) una delle due adolescenti aggredite e violentate da Mario Seferovic, 21 anni, lo scorso 10 maggio, in via Renato Birolli, alla periferia est di Roma. L’uomo, insieme al suo complice, Maikon Bilomante Halilovic, 20 anni, è stato arrestato venerdì scorso dai carabinieri della stazione di Tor Sapienza. Detenuti nel carcere di Regina Coeli, dovranno ora rispondere di violenza sessuale di gruppo.
Ma il tono della voce del padre di Paola un padre come tanti tra i tanti, che da vent’anni a questa parte si alza al mattino presto per andare a lavorare, tradisce giorni, settimane e mesi di dolore e di costernazione. «È difficile prosegue il papà di Paola riuscire a superare tutto questo, ciò che è accaduto a mia figlia, alla sua amica e alle nostre vite». Come si può del resto spiegare, accettare e poi metabolizzare che un ventenne, abile nel mostrarsi innocuo, dia un appuntamento a una ragazzina per poi legarla con un paio di manette insieme all’amica del cuore ad un recinto arrugginito e violentare entrambe brutalmente? «Non si può spiegare, non si può accettare, mia figlia è stata vittima dell’ingenuità».
Signor Franco (chiameremo così il papà della giovane) sua figlia è stata adescata da Seferovic in chat, su Facebook, cosa l’ha spinta a incontrare l’uomo?
«Mia figlia quell’uomo l’aveva già visto più di una volta su un autobus che attraversa la via Prenestina e che Paola prende di frequente per raggiungere, con la sua amica, un centro commerciale. Quando ci ha raccontato quello che era successo mi ha detto: Papà, mi faceva ascoltare delle canzoni sul bus, insomma l’aveva adocchiata sul mezzo e per diverso tempo ha fatto in modo di incrociarla spesso».
Poi però hanno deciso di incontrarsi dopo essersi scambiati messaggi in chat.
«Sì, a distanza di qualche tempo lui gli ha chiesto l’amicizia su Facebook, ma non ha confessato la sua vera età, Paola mi ha detto: papà mi diceva di avere 16 anni; le ha fatto credere di essere un coetaneo e mia figlia è stata vittima dell’ingenuità: forse quel ragazzo l’aveva colpita».
In che modo sua figlia le ha raccontato quello che è successo?
«Si sono incontrati, mia figlia è giunta sul posto con la sua amica, Paola mi ha detto: ha iniziato (Seferovic ndr) a stringerci per i polsi mentre il suo amico ci spingeva da dietro. Poi le ha legate. Non hanno potuto liberarsi. È stato terribile ascoltarla. Ci è voluto un po’ prima che riuscisse a raccontare; hanno influito le minacce che l’uomo le ha fatto, ma anche la paura, il senso di vergogna per quello che le era capitato. Sì, si vergognava, indifesa. Ora stiamo cercando di andare avanti».
Seferovic dopo le violenze ha controllato sua figlia e l’amica affinché non parlassero. Si è recato a casa vostra?
«No, io e mia moglie siamo separati, mia figlia sta sia con me che con la madre, ma Seferovic continuava a perseguitarla, con messaggi e telefonate anonime, la minacciava di morte. Un vero stalker».
Come avete trascorso questi mesi?
«Siamo dilaniati, mia figlia è tornata a scuola, abbiamo fatto controlli, siamo in cura dagli psicologi ma quello che leggo in rete, sui social in queste ore in cui è uscita la notizia mi spaventa e mi fa male. La gente è cattiva, ho letto tante cose brutte su mia figlia, ma è una ragazzina ed è rimasta vittima dell’ingenuità propria di un’adolescente. Quell’uomo si è finto un’altra persona».
È stato lei, dopo il racconto di Paola, a indirizzare gli inquirenti e a fornire elementi utili all’arresto dei due uomini.
«Ho fatto il mio dovere di padre, ho cercato di salvare mia figlia. Meno male che li hanno presi».
E ora conta che la giustizia faccia il resto?
«Me lo auguro, se così non fosse ci sarò io ad aspettarli quando usciranno di prigione. Devono pagare per quello che hanno fatto, non possono farla franca».
Paola e l’amica sono state aggredite in una zona di periferia: strada cieca e dissestata. Pensa che un maggior controllo avrebbe potuto scongiurare la violenza?
«Viviamo in una borgata e tutte le borgate versano in queste condizioni. Certo, servirebbe più controllo ma anche una forte scossa alle persone che invece se ne fregano, sono egoiste. Dopo la violenza, Paola e la sua amica sono state liberate e hanno aspettato l’autobus per tornare a casa. Seferovic non se n’era andato, loro piangevano e un signore che passava, si è avvicinato per chiedere se andava tutto bene. Seferovic gli ha intimato di farsi i fatti suoi e l’uomo se n’è andato. Ecco, se invece fosse rimasto? Di fronte a due ragazzine provate e piangenti?». In fondo, Paola e la sua amica, bambine di 14 anni, potevano essere le figlie di chiunque.
Camilla Mozzetti