Corriere della Sera, 5 novembre 2017
Alla Scala dodici minuti di Stravinskij perduti e ritrovati
«La storia è così strana e miracolosa che non ho resistito» confessa Riccardo Chailly. «L’idea di dare voce a una musica scomparsa per più di un secolo, composta da un genio per un altro genio, mi ha tentato, mi ha fatto decidere di cambiare il programma». Così domani alla Scala, nel concerto d’apertura di stagione della Filarmonica, tra la Seconda di Ciajkovskij e Petruska di Stravinskij, scompare la prevista Suite dalla Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Shostakovich e compare il Chant funèbre di Stravinskij. Dodici minuti di grande musica perduta e ritrovata, scritta nel 1908 da uno Stravinskij ventiseienne, straziato dalla morte di colui che gli era stato non solo maestro ma anche un secondo padre, Nicolaj Rimskij-Korsakov. Sepolto, per volere di un caso sapiente, accanto al vero padre di Igor nel cimitero di Novodievitchy.
«Subito dopo, capo un mese, nasce Chant funèbre – ricorda Chailly – scritto febbrilmente, concepito sull’idea che gli strumenti solisti dell’orchestra sfilino davanti alla tomba del maestro, ciascuno lasciando come fosse un fiore, il suo messaggio musicale. Un brano toccante, intriso di echi di Rimskij-Korsakov, di Musorgskij e di Wagner, che rivela uno Stravinskij intimo, atipico, che meglio si armonizza con i toni nostalgici e pieni di ombre della Seconda sinfonia di Ciajkovskij».
Così quando pochi mesi dopo, gennaio 1909, quel Chant traboccante di dolore e di amore fu presentato a Pietroburgo, diretto da Felix Blumenfeld, l’accoglienza fu entusiastica. Nessuno in sala avrebbe immaginato che quella sarebbe stata la prima e ultima volta. Perché la partitura, misteriosamente, scompare. Inutile ogni ricerca, alla fine la si dà per inghiottita nei gorghi della Rivoluzione del ‘17 o della successiva guerra civile. Stravinskij, che lo considera uno dei suoi migliori lavori, si dispera.
«E aveva ragione, Chant funèbre anticipa l’ Uccello di fuoco, scritto giusto un anno dopo» avverte Chailly. Ci vorrà più di un secolo perché qualcuno, durante il trasloco di tutti i materiali in vista del restauro del Conservatorio, si decida ad aprire un vecchio armadio e scopra, tra montagne di carte polverose, quelle 58 pagine dimenticate. Ciascuna autografata da Stravinskij stesso. Il 2 dicembre 2016, nella stessa città dove era nato e subito inspiegabilmente sepolto, Chant funèbre, ricostruito sulle parti d’orchestra ritrovate, risorge al teatro Mariinskij per la bacchetta di Valery Gergiev.
«Ritrovarmi tra le mani quella partitura intrisa di tanta storia, tanti colpi di scena, è stata una forte emozione» assicura Chailly, che dopo averla eseguita quest’estate al Festival di Lucerna, ora la propone per la prima volta alla Scala. Perla preziosa di una stagione concepita sotto il segno di Santa Madre Russia. «Un repertorio imprescindibile per quel percorso sinfonico ampio che denota una grande orchestra. Le recenti tournée all’estero, la prossima a gennaio a Londra, Parigi, Vienna, Budapest, sono il segno di un sempre maggior interesse internazionale per la Filarmonica. Ovunque andiamo, ci chiedono subito di tornare».
Un successo frutto di un lavoro intenso, volto a creare un nuovo suono. «Più che di un nuovo suono, preferirei parlare di un nuovo sviluppo sonoro, di un plasmare un’identità musicale in senso maggiormente mitteleuropeo. La cosa bella è la risposta dell’orchestra, la sua disponibilità, la sua apertura mentale, il suo impegno quotidiano».
La fitta alternanza di direttori prestigiosi sul podio aiuta in questa crescita. Solo per parlare del focus Ciajkovskij, oltre a Chailly, che dopo la Seconda a gennaio guiderà anche la Quarta, a febbraio ascolteremo la Sesta con Valery Gergiev e a marzo la Quinta con Yuri Temirkanov.
Sguardi diversi a confronto per una lettura sfaccettata di uno dei massimi geni della musica, iscritta in un cartellone di capolavori e di riscoperte. La stessa linea di alternanze che Chailly mette in pratica anche sul fronte lirico. E a chi lamenta la mancanza di titoli di immediato richiamo, risponde ricordando la grande popolarità dell’imminente Andrea Chènier. Ribadendo di voler portare avanti nelle prossime stagioni quel progetto Puccini a lui tanto caro.