L’Economia, 9 ottobre 2017
Monete parallele? La politica s’illude non si cresce così
L’idea di una moneta parallela o di un ritorno alla lira si è dissolta nella calura estiva della politica. Lega e Cinquestelle l’hanno messa saggiamente da parte. A dimostrazione che gli estremismi italiani hanno il sapore casereccio dell’improvvisazione. E, guardando all’estero, questa volta, non è un difetto. C’è un sottofondo di buon senso che dà speranza. La ripresa ha poi spazzato via molti risentimenti verso l’euro.
Anche se la moneta unica è ancora vissuta, in alcune analisi politiche e persino nella dottrina economica, come un laccio che impedisce di usare la leva competitiva della svalutazione per crescere di più. L’Italia, però non ha mai esportato così tanto come di questi tempi. Con un cambio sfavorevole, specie sul dollaro.
Lo scorso anno si è avuto un saldo positivo record di bilancia commerciale. Anzi, per alcuni settori – chimica, farmaceutica, macchine utensili – è in atto un vero e proprio boom. Difficile, dunque, prendersela con l’euro che peraltro ci permette di finanziare il debito pubblico a tassi eccezionalmente bassi se non negativi. Conserva invece una discreta attualità la discussione sull’opportunità di introdurre una moneta fiscale. Di che cosa si tratta? Nelle intenzioni dei vari promotori – che guardano con interesse alcune aperture, dai grillini a Forza Italia al sindacato – la scelta dello Stato di emettere Tsf (Titoli di sconto fiscale) avrebbe l’effetto di aumentare la domanda aggregata, stimolare consumi e investimenti e alimentare un moltiplicatore positivo per l’intera economia. Con una spinta al prodotto interno lordo che farebbe ridurre l’incidenza percentuale del debito. Senza venire meno, si promette, ai vincoli della Unione monetaria. In apparenza, l’ uovo di Colombo. «Non è una moneta alternativa hanno scritto Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Guido Ortona su Mf ma un titolo pubblico negoziabile e convertibile in euro».
Titoli gratis Secondo i promotori, lo Stato potrebbe assegnare gratuitamente i buoni zero coupon ai cittadini, in proporzione inversa al loro reddito, e alle aziende in ragione del numero degli occupati. Siamo un po’ sulla linea dell’ helicopter money, la moneta gettata dall’elicottero, cioè distribuita gratuitamente, teoria che ha autorevoli simpatizzanti e sconfina con il dibattito, tutt’altro che peregrino, di come si possa sostenere il reddito di fronte a una possibile e diffusa disoccupazione tecnologica. Una delle proposte italiane è stata dettagliata in un eBook di Micromega, della fine del 2014, scritto dai già citati Cattaneo e Grazzini con Biagio Bossone e Stefano Sylos Labini, con la prefazione di Luciano Gallino. I proponenti, in interventi recenti, hanno richiamato uno studio di Olivier Blanchard e Daniel Leigh per il Fondo monetario. I conti I Tsf sarebbero negoziabili sul mercato finanziario e dunque convertibili in euro. E potrebbero essere utilizzati per pagare la pubblica amministrazione, tasse e multe, ma solo a partire dal terzo anno. Se l’aumento della domanda generasse un moltiplicatore superiore a uno, il sacrificio fiscale dello Stato verrebbe compensato dalle maggiori entrate dovute a una ripresa più robusta. A questa possibilità crede, in li- nea teorica, anche uno studio di Mediobanca del novem- bre del 2015, scritto da Angelo Guglielmi. Nel suo ultimo rapporto, Prometeia affronta il tema elencando una se- rie di dubbi. L’efficacia presunta dell’esperimento pog- gerebbe su tre assunti. Primo: che la moneta fiscale sia percepita come mezzo di pagamento universale. Cioè che nessuno abbia incertezze sul suo valore, che venga spesa e non risparmiata. Secondo: che scatti quel danna- to moltiplicatore che compenserebbe con maggiori entrate la perdita di gettito per lo Stato al terzo anno. Ma il dubbio principale riguarda il terzo fattore, ovvero che i Tsf non siano contabilizzati come debito al momento della loro emissione. «È semplicemente uno sconto anticipato su imposte future – spiega Lorenzo Forni, segretario generale di Prometeia – ed è probabile che nella contabilità di Eurostat venga considerato alla stregua di un debito. In sostanza si tratta di un intervento pubblico che genera un onere per lo Stato, che sia differito poco importa». E la decisione non passerebbe inosservata sui mercati finanziari. Influenzerebbe il nostro rating, già pericolosamente vicino alla perdita dell’investment grade. Al di là dei sospetti di un aggiramento delle regole europee, il lancio dei Tsf equivarrebbe di fatto a una manovra in forte disavanzo. La sostanza politica non cambierebbe. Sarebbe percepito come una scorciatoia, una furbizia, ri- velatrice di difficoltà di bilancio che apparirebbero ben superiori alla realtà. Inoltre, ipotecare incassi futuri del- l’Erario, farebbe venire meno qualche garanzia sul debi- to già emesso e sul suo rifinanziamento. Non immaginiamo nemmeno il caos che si scatenerebbe sui criteri di distribuzione. E non si riflette a sufficienza sugli effetti diseducativi di un reddito gratuito. Perché studiare, impegnarsi e fare tanti sacrifici, se c’è un buono che mi piove improvvisamente addosso? Lo strumento comunque si è rivelato utile in passato per superare momentanee crisi di liquidità. Oggi ce n’è fin troppa. L’esperienza della California con gli IOU (I owe you), dei registered warrants, in poche parole dei «pagherò», emessi durante la
crisi del 2009 per retribuire dipendenti pubblici, regolare i rapporti con fornitori e contribuenti, durò pochi mesi, anche per l’opposizione del sistema bancario già troppo esposto. La stessa California, durante la guerra di secessione americana (1861-65), rifiutò i greenback, i titoli emessi
da Lincoln per finanziare il conflitto contro la Confederazione, che si deprezzavano troppo velocemente. Germania anni 30 o Grecia Una sorta di moneta fiscale venne proposta da Yannis Varoufakis al culmine della crisi del debito greco. Un sistema spiegato dall’economista, allora ministro delle Finanze di Atene, come una valuta sorretta dalle tasse future. In un Paese peraltro ad alta evasione. Non se ne fece nulla. I Mefo-Bill furono emessi negli anni Trenta nella Germania nazista. Presero il nome dalla Metallurgische Forschungsgesellschaft, una società veicolo creata per l’emissione, in un momento in cui il Paese aveva un grande debito estero e riserve a secco. Titoli che finanziarono la spesa pubblica e il riarmo, accettati come mezzo di pagamento. Funzionarono in un sistema autarchico e in una dittatura. I sostenitori della moneta fiscale ricordano il successo del Wir, una moneta alternativa che circola in Svizzera da ottant’anni. Concepita per superare la scarsità di credito successiva alla crisi del 1929, è diventata la divisa di un mondo cooperativo ristretto non di un intero Paese. Come accade grossomodo anche in Sardegna con il Sardex, un sistema di compensazione di debiti e crediti all’interno di un circuito limitato. Nulla a che fare con lo Stato. Nel 1977 in Italia una parte della contingenza, ovvero l’adeguamento dei salari all’inflazione, venne pagata in Bot. Si aprì subito un mercato secondario dei titoli. Chi aveva bisogno di monetizzarli subito, li svendeva. Gli arbitraggi prosperarono. L’esperimento non fu ripetuto.