la Repubblica, 7 giugno 2017
Nella stanza blindata di Riina in ospedale. «Non si alza da mesi ma è sempre lucido»
PALERMO Negli ultimi giorni è tornato a chiedere una radiolina. Vorrebbe anche un calendario, il paziente Salvatore Riina, che da otto mesi ormai non si alza più dal letto. Ma nella stanza- cella nascosta fra le corsie del “Maggiore”, la clinica universitaria di Parma, non ci può stare nulla. Queste le regole. Solo le apparecchiature sanitarie. Di fronte, una finestra che guarda la città. Dal novembre del 2015, il capo dei capi di Cosa nostra, l’uomo delle stragi, non sta più in carcere e si trova in questa stanza segreta dove sono ammesse solo una ventina di persone, fra sanitari e agenti. Una stanza blindata, sarà grande all’incirca cinque metri per cinque. Qui, l’ergastolano Riina viene tenuto sotto stretto controllo medico per quella serie di patologie finite al centro dell’ultima sentenza della Cassazione. «Ha diritto a una morte dignitosa», hanno scritto i giudici, sollevando un vespaio di polemiche. In attesa della prossima decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna, il padrino di Corleone continua a restare nella sua stanza segreta, una piccola fortezza nel tranquillo ospedale che è fra le eccellenze della sanità italiana.
Raccontano che da quando il paziente Riina è ricoverato lì, nulla ha mai turbato la tranquillità in corsia. Non si è mai visto un solo agente penitenziario in mimetica e mitraglietta. Neanche quando il capo dei capi deve essere trasferito in carcere, per raggiungere la saletta delle videoconferenze, da dove assiste alle udienze del processo “Trattativa Stato-mafia”. Quindici minuti di strada, traffico permettendo. Un’ambulanza e qualche auto civetta. Nessuna sirena, nessuna paletta. Parole d’ordine del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: «Passare inosservati». Non si perde un’udienza, l’imputato Riina. Sui monitor dell’aula bunker di Palermo si vede un omino in barella. Qualche imputato, come Leoluca Bagarella o Antonino Cinà, chiede quasi sempre di andare via all’ora di pranzo. Lui, no. L’imputato Riina vuole ascoltare tutti i testimoni. Anche alle tre del pomeriggio. Senza neanche bere un bicchiere d’acqua. Quasi incredibile per un paziente «affetto da plurime patologie che interessano vari organi – ricorda l’ultima perizia – in particolare cuore e reni, con sindrome parkinsoniana in vasculopatia cerebrale cronica».
Dice l’avvocato Luca Cianferoni: «Riina è lucidissimo, ma la situazione è ormai gravissima, finalmente è stata presa in considerazione dalla Cassazione con una sentenza che definirei storica, perché apre un varco per l’intero sistema». Riina non è il detenuto più anziano, e neanche il più ammalato. Giuseppe Farinella, uno dei componenti della Cupola condannato per le stragi, ha 95 anni. «Lo Stato garantisce il diritto alla salute a tutti i detenuti», dice Roberto Piscitello, direttore generale del Dap. «Riina è stato portato a Parma – spiega – perché lì c’è un centro di eccellenza assolutamente idoneo per le sue patologie. Vengono assicurate tutte le cure – ribadisce il magistrato, ex pm antimafia di Palermo – la detenzione non può aggravare le patologie dei detenuti, in quel caso diventerebbe disumana e degradante».
Raccontano che c’è sempre un gran via vai di medici nella stanza blindata del paziente più illustre (e più nascosto) di tutto l’ospedale. Un grave problema al rene è sotto controllo dal 2015, recita l’ultimo bollettino. «Resta un paziente fragile – hanno scritto i giudici di Bologna che la Cassazione ha bacchettato per aver ribadito comunque la prosecuzione della detenzione – Riina è affetto da numerose patologie croniche e pertanto passibile di repentini cambiamenti». L’allerta costante è per il «rischio di eventi cardiovascolari infausti».
A pranzo e a cena, due infermieri lo aiutano a sedersi sul letto. Poi, gli servono una «dieta frullata». Qualche giorno fa, il paziente Riina ha chiesto di poter vedere un po’ di tv durante i pasti. Permesso negato. «Non può leggere neanche i giornali – protesta il suo avvocato – la radiolina, invece, l’hanno concessa dopo un anno di istanze. Non si è ancora vista». Adesso, il padrino aspetta il colloquio mensile con i familiari. Ma il 41 bis vale anche in ospedale. Moglie e figli devono restare a un metro di distanza. E non ci si può toccare, per un abbraccio o un bacio. Ogni colloquio viene videoregistrato. Per i magistrati, Totò Riina è ancora il capo riconosciuto di Cosa nostra, in grado di mandare ordini al suo popolo.