la Repubblica, 7 gennaio 2017
Sorpresa dalla Brexit, l’economia cresce smentiti i catastrofisti
IL REGNO UNITO non ha neppure avviato la procedura per uscire dall’Unione Europea, ma il voto che ha sancito “Brexit” continua a sortire effetti nell’establishment britannico. La forte tenuta dell’economia nei sei mesi dopo il referendum del 23 giugno sta provocando grande imbarazzo nella Banca d’Inghilterra, che aveva previsto una recessione in caso di vittoria del “Leave”. Giovedì, il capo economista Andrew Haldane ha accostato le analisi della banca centrale a quelle del meteorologo britannico Micheal Fish, che poche ore prima della “Grande Tempesta” del 1987 aveva detto sulla BBC che non ci sarebbero stati uragani.
Nel caso britannico, nonostante le previsioni buie della maggior parte degli esperti, sull’economia ha continuato a splendere il sole. Il prodotto interno lordo è cresciuto dello 0,6% nel terzo trimestre e, negli ultimi tre mesi dell’anno, gli indicatori sull’attività dei diversi settori fanno presagire una crescita dello 0,5%.
Sulla base di queste ed altre previsioni, il quotidiano Times si è spinto fino a titolare in prima pagina che la Gran Bretagna dopo la “Brexit” si è dimostrata l’economia migliore del G7. Ma se è vero che la Banca d’Inghilterra e molti altri economisti devono riflettere sui loro errori, l’entusiasmo del Times sembra eccessivo – se non altro perchè la Brexit non è ancora avvenuta. Lo stesso Haldane ha detto ieri che la Banca d’Inghilterra continua a immaginare un forte rallentamento per la Gran Bretagna, anche se avverrà più tardi di quanto previsto inizialmente.
La tenuta dell’economia britannica è legata principalmente all’entusiasmo dei consumatori, che si sono mostrati imperturbabili rispetto alla vittoria del “Leave”. Nel terzo trimestre i consumi sono cresciuti dello 0,7% rispetto ai tre mesi precedenti, in linea con i primi sei mesi dell’anno.
Per gli analisti, questa reslienza si spiega in due modi: “la maggior parte dei votanti ha ottenuto quello che voleva, e i sondaggi prima del voto avevano già suggerito che la maggioranza delle persone riteneva che la Brexit non avrebbe avuto un grosso impatto sulla propria condizione finanziaria,” ha scritto la società di consulenza Capital Economics in una nota di ricerca.
Anche gli investimenti sono andati meglio del previsto, aumentando dello 0.4% nel terzo trimestre. Gli economisti ricordano come le aziende abbiano preso molte di queste decisioni di spesa nei mesi prima del referendum, quando si immaginava una vittoria del “Remain”. Tuttavia, anche nei mesi successivi al voto, le intenzioni di acquisto di nuovi macchinari e impianti sono decelerate, ma in maniera contenuta. Paradossalmente, la spinta minore alla crescita britannica sta venendo dalle esportazioni, che pure dovrebbero beneficiare del recente crollo della sterlina. Gli esportatori sembrano non aver abbassato i prezzi all’estero per guadagnare quote di mercato, preferendo invece aumentare i margini di profitto.
Più in generale, è evidente che gli economisti avevano sovrastimato gli effetti che l’incertezza sui rapporti futuri tra Gran Bretagna e UE avrebbe avuto sulle decisioni immediate di aziende e consumatori. La rapida risoluzione della crisi politica innescata dalle dimissioni del premier David Cameron con l’arrivo del governo di Theresa May e la decisione della Banca d’Inghilterra di tagliare i tassi d’interesse e far ripartire gli acquisti di titoli di stato ad agosto hanno invece contribuito a sostenere la crescita.
Non è detto, comunque, che quest’ottimismo sia destinato a durare. I dati più preoccupanti vengono proprio dai consumi, che stanno crescendo nonostante un forte calo nel potere d’acquisto. Il reddito disponibile dei britannici è sceso dello 0,6% nel terzo trimestre, a causa della crescita dell’inflazione spinta in alto dal calo della sterlina che fa costare di più i prodotti importati. Per ora, i britannici hanno deciso di risparmiare di meno e indebitarsi di più, ma non è chiaro dunque quanto questo possa continuare, in assenza di un rafforzamento della crescita degli stipendi.
L’altro grande problema riguarda le decisioni delle aziende. May ha promesso di attivare l’articolo 50 dei Trattati, che fa partire i due anni per negoziare le condizioni di uscita, entro la fine di marzo. A quel punto comincerà a diventare chiaro se a prevalere sarà l’ala dura, guidata dal ministro degli esteri Boris Johnson, che è disposta ad uscire dal mercato comune europeo, o quella morbida, del cancelliere dello scacchiere Philip Hammond, che vuole restarci. Alla finestra ci sono prima di tutto le banche della City, per cui è vitale mantenere il cosiddetto “passport” che permette loro di operare da Londra in tutta l’Ue. La sterlina, che rimane debole nonostante i dati economici positivi, sembra indicare che gli investitori continuano a temere consequenze negative dalla “Brexit”. Ma come hanno insegnato questi mesi, il futuro è davvero difficile da predire. Solo il tempo saprà dire se Haldane e i suoi colleghi economisti avevano sbagliato soltanto l’orizzonte delle loro previsioni, oppure proprio la sostanza.