Pallinato da Frammenti, Gruppo AAA, 8 luglio 2002
Un tempo il ”calciomercato” era un rito e un’arena
• Un tempo il ”calciomercato” era un rito e un’arena. «Sembra impossibile crederlo, ma di bilanci e plusvalenze si occupavano gli studenti di ragioneria e semmai i commercialisti. [...] Era l’estate del 1947. Fu un personaggio quanto mai caratterizzante dell’epoca, il nobile Raimondo Lanza di Trabìa a suggerire l’idea di radunarsi tutti insieme, presidenti di Serie A e Serie B, per scambiarsi idee e opinioni, ma soprattutto calciatori. Pittoresco, Lanza di Trabia, poi morto suicida meno che quarantenne in un albergo romano: scendeva nella migliore suite dell’Hotel Gallia e lì amava ricevere i suoi ospiti, nella vasca da bagno, sorseggiando champagne» (Gianni Visnadi).
• Oggi i giocatori faticano a trovare una squadra nel momento in cui costano meno, «quando sono liberi da contratti e bisogna pagare soltanto l’ingaggio per averli. Fino a un paio di anni fa era la situazione in cui si tiravano le reti per la pesca: il calciatore chiedeva più soldi per sé perché non se ne dovevano spendere altri per comprarlo. Qualcuno, come Recoba che in Italia ha giocato venti partite da leone e duecento da pecora, ottenne addirittura sedici miliardi di lire all’anno con la minaccia di andarsene a fine contratto senza che Moratti guadagnasse un centesimo» (Marco Ansaldo).
• Il caso Asta. «Quel signore che quasi tutti i giorni fa footing nel parco di Trenno, non lontano dallo stadio di San Siro, non è il sosia di Antonino Asta, l’ex capitano del Torino: è proprio lui che si tiene in forma come il bancario che alle sei del pomeriggio smette giacca e cravatta e va a correre per azzerare la pancia. [....] Sono in molti nelle sue condizioni. Che ci sia lui è però curioso perché, pochi mesi fa, il 13 febbraio, era a Catania nella Nazionale contro gli Stati Uniti, un trentunenne finalmente in carriera. [...] ”Sinceramente, credevo di fare più in fretta a sistemarmi. [...] Non so come fosse prima, il mercato, perché ero ai margini dei grandi giri. Per quanto leggevo, tre anni fa un calciatore libero si piazzava subito, lo cercavano prima che gli scadesse il contratto. Oggi pare sia diverso”. Nel trionfo degli scambi, chi è senza squadra rischia di non entrare in nessuna operazione. ”In teoria è così. Io non sono di nessuno, con chi mi scambiano?”» .
• Il caso Cannavaro. «Reduce da un campionato complicatissimo con il Parma, da un Mondiale deludente e ora in procinto di cambiare squadra. Già, ma per andare dove? Alla Juve, spera lui. [...] Per il momento, però, tutto tace. La Juve non parla da diversi giorni con il Parma e non rilancia con nuove offerte. [...] A Parma non può certo restare. Nella nuova politica voluta da Arrigo Sacchi, non c’è più spazio per le grandi stelle. Il difensore napoletano guadagna adesso 4,7 milioni di euro a stagione, una cifra che la famiglia Tanzi non intende più sborsare. Al capitano è stato anche lanciato un messaggio: potresti restare, dimezzandoti lo stipendio. [...] (Ezio Rossi).
• Il caso Sgrigna. Ventiduenne attaccante romano, ultima stagione nel Vicenza, per una notte ”zimbello del mercato”: «All’apertura delle buste della comproprietà, qualcuno fa notare che al nome Sgrigna corrispondono due offerte (Verona e Vicenza i due club interessati) da zero euro. Caspita, ma chi sarà questo poveretto che, pur giocando in B, non vale più una lira? Da qui parte la ricerca. Si scopre che ha cominciato dalla Lodigiani, è stato perfino all’Inter e di lì al Vicenza, al Verona che lo ha parcheggiato a Pistoiese e Reggiana. ”Zero euro? Ma che questi dirigenti sono impazziti?”, dice al telefono Eugenio Fascetti, che del Vicenza è stato allenatore nella prima parte del campionato. Mistero fitto. Ma ecco che a riguardare bene il comunicato della Lega, si scopre l’arcano. In realtà Vicenza e Verona l’offerta non l’hanno proprio presentata: si sono accordate prima per non farlo. Il giocatore, per regola, resta quindi all’ultima società in cui ha militato. E, siccome il valore concordato dovrebbe superare il miliardo di vecchie lire, ecco che scatta addirittura la plusvalenza da mettere in bilancio» (Vincenzo Cerracchio).
• Il caso Seedorf. Contestato dai suoi nuovi tifosi, i milanisti, per aver giocato nella squadra rivale, l’Inter (alla quale è andato Coco): «Oddìo, è chiaro che nel caso specifico a Milanello si sono accumulate altre delusioni. La campagna acquisti di Galliani non ritenuta all’altezza [...] Ma è un fatto che questi scambi, spesso dettati più da equilibrismi finanziari che da reali esigenze tecniche, siano considerati all’esterno delle società come semplici magheggi e colossali prese in giro. [...]» (Vincenzo Cerracchio).
• Fantasia. «Si tratta di allestire gli scambi. Allora si può anche largheggiare, in nome delle famose plusvalenze, e scoprire che un cane vale due gatti: Inter e Parma si sono scambiati Gresko e Almeyda valutandoli 15 milioni di euro ciascuno, cifra di pura fantasia se si pensa che il popolare Maccarone, centravanti titolare della nazionale under 21, è stato acquistato dal Middlesbrough per 13 milioni di euro, questi sì reali» (Enrico Maida).
• Il gioco delle plusvalenze. Alla vendita di un calciatore, le società iscrivono immediatamente a bilancio la differenza tra quanto incassano e quanto avevano pagato in precedenza: da qui la prassi di cedere giocatori formati nel proprio vivaio o acquistati quando ancora non erano famosi, oppure di fare scambi in cui i giocatori vengono supervalutati dalle parti per fini contabili. Claudio Pasqualin, presidente dell’Assoprocuratori, un anno fa: «La Juventus vende Zidane al Real Madrid per 150 miliardi, poi ne spende 200 per Buffon e Thuram. La Juve va sotto di 50 miliardi? No, perché i 150 miliardi che entrano vanno dritti alla voce ”attivo” dell’esercizio di quest’anno, mentre i 200 che escono vengono spalmati sui prossimi 5 anni, 40 alla voce ”passivo” ogni anno. Quindi la Juve può contare su 110 miliardi. Soldi virtuali».
• Ecco spiegato perché la Lazio vende Nesta. E perché in futuro la Roma potrebbe vendere Totti e la Juventus Del Piero. «Francesco Totti, attaccante, valore netto contabile: zero. Alessandro Del Piero, attaccante, valore netto contabile: cento mila euro (fu acquistato giovanissimo dal Padova quando ancora non era Pinturicchio). La Lazio non rende noto l’elenco degli esborsi per l’acquisto dei giocatori, ma è presumibile che anche il valore netto contabile di Alessandro Nesta - nato e cresciuto con la maglia biancoceleste - sia zero. Per il capitano conteso, Juventus e Inter hanno messo sul piatto tra i 25 e i 30 milioni di euro: se Cragnotti dovesse accettare, la cifra equivarrebbe alla plusvalenza secca che il club incasserebbe dalla transazione. Un valore netto contabile pari a zero significa infatti che un giocatore non è costato nulla. Perché proveniente dalle giovanili o perché rilevato a contratto scaduto. E se diventa un campione, si trasforma in una miniera d’oro per la squadra che ha avuto la lungimiranza di scommettere su di lui» (Claudia Guasco).
• I calciatori, finché hanno potuto, hanno goduto del Bengodi. Pasqualin un anno fa: «Provo imbarazzo quando un mio assistito la domenica fa gol, poi il lunedì mi telefona e dice: ”Aggiorniamo il contratto”. Ma oggi i calciatori sono questi: hanno l’impressione che la carriera sia sempre più breve, che vincere non basti più. E allora, ecco: arraffano, prendono più che possono, l’oggi non esiste, c’è solo il domani...».
• Il modello Juve. Di soldi la Juve ne avrebbe: il bilancio ha chiuso con uno «scintillante» attivo, senza nemmeno il ricorso alle plusvalenze. Ma non li spenderà. Luciano Moggi: «Primo perché la squadra è già stata rinforzata abbastanza. Secondo perché i nostri azionisti ci hanno proibito le spese. Terzo perché non vogliamo fare la fine degli altri». Per ora la Juve ha acquistato Baiocco, Chimenti, Fresi, Brighi, Blasi e Moretti: «Tutti italiani e quasi tutti giovani. Ma chi segue il nostro esempio? Avere dei soldi non significa doverli consumare per forza».
• Il modello Perugia. Serse Cosmi, sui primi due mesi da apprendista-allenatore del Perugia: «Andavo a Madonna Alta, nel quartiere residenziale di Perugia, dove Alessandro Gaucci mi aspettava a casa sua con il videoregistratore acceso e una pila di cassette da guardare [...] Si trattava di individuare giocatori di talento di qualsiasi nazionalità, in qualsiasi campionato, giovani o già avanti con gli anni non aveva alcuna importanza. L’importante era solo pagarli poco. [...] Da quelle cassette sono usciti il coreano Jung Hwan Ahn, ma anche l’argentino Pablo Horacio Guinazù e Claudio Martin Paris. Abbiamo visto e preso anche il cinese Ming Yu Ma, i miracoli però non riescono neanche al Perugia».
• Il modello Chievo. «Nessun acquisto folle, ingaggi bassi, investimenti di mercato concentrati sui giovani, sulle serie minori e su paesi ”alternativi”, lontano dai circuiti dei procuratori-squali. Così, basato sulla ricerca e sulla valorizzazione dei talenti perduti o non ancora emersi, il progetto-Chievo ha fatto centro, è diventato un modello. In campo: dalla B all’Europa della Coppa Uefa» (Roberto Condio).
• Il modello Reggiana. «La società emiliana da quasi dieci anni importa giovanissimi talenti dalla Nigeria e soltanto così si mantiene a galla. Un anno fa cedette il centravanti Martins alla primavera dell’Inter, capace di vincere il torneo di Viareggio e lo scudetto di categoria. ”Diventerà meglio di Owen”, secondo il presidente Massimo Moratti. A reggere le fila dell’organizzazione c’è la primadonna del calcio italiano, Daniela Gozzi, 45 anni di cui 26 trascorsi nel pallone. E’ l’unico direttore generale donna dalla serie A alla C2. ”Per riuscire a sopravvivere una società come la nostra deve puntare tutto sul settore giovanile. Un tempo non era indispensabile. [...] Adesso viene riscoperto per davvero [...] Noi è da metà anni 90 che perseguiamo questa politica. Da quando, cioè, prendemmo il primo nigeriano nella storia del nostro calcio, Sunday Oliseh, allora ventenne nazionale e arrivato tre anni fa alla Juve. In Nigeria abbiamo una scuola calcio autentica, in mano al fratello maggiore di Oliseh, Churchill [...]».
• La moralizzazione economica del calcio italiano. «L’avvocato Campana, presidente del sindacato calciatori, lo disse pochi mesi fa: ”I giocatori sono pronti a guadagnare meno, ma vorrei ricordare che nessuno ha mai puntato la pistola alla tempia dei presidenti, quando hanno firmato certi contratti”. Oggi, però, più della metaforica pistola hanno potuto i bilanci in rosso e il rischio concreto che la maggior parte dei club di serie A non possa iscriversi al prossimo campionato. [...] I nuovi contratti, intimano i presidenti cicale dopo la metamorfosi in formiche, indotta dal prosciugarsi delle pay-tv, non potranno mai essere dello stesso livello di quelli, scandalosi, stipulati nell’era del Bengodi televisivo. Così Galliani ha potuto annunciare che i neoacquisti Seedorf e Simic ”hanno firmato col Milan un contratto in cui accettano di percepire meno di quello che guadagnavano all’Inter”. [...] La strada per le società è dunque obbligata: tagliare dove è possibile. ”I contratti scaduti non si rinnovano”, ha spiegato Galliani [...]» (Enrico Currò).
• Tra le grandi d’Europa c’è un patto di non belligeranza. Thomas Kurth, general manager del G14 (Juventus, Milan, Inter, Manchester United, Liverpool, Bayern Monaco, Borussia Dortmund, Barcellona, Real Madrid, Paris Saint Germain, Olympique Marsiglia, Ajax, Psv Eindhoven, Porto): «Il primo obiettivo è ridurre la competizione nella campagna acquisti, ed evitare le aste, che hanno l’effetto di alzare il prezzo anche per i giocatori mediocri». Ad agosto si ratificherà l’accordo: tetto agli ingaggi e al numero di giocatori (25 per squadra), contratti flessibili, bonus per le vittorie.
• Il campionato, per ora, non c’è. «Perché farsi soffocare da questi 1.400 miliardi di vecchie lire di debiti che il calcio italiano ha accumulato in anni di allegra gestione e che vengono continuamente rinfacciati dai soliti moralisti d’accatto? Tutto sta a vedere chi sarà il primo a firmare il fatidico assegno [...] Si accettano scommesse a quote di affezione in attesa di sapere se e quando comincerà il prossimo campionato: resta infatti sempre in piedi la minaccia di 11 società di A e B che boicotteranno i calendari se non troveranno l’accordo con le tv criptate, generose soltanto con i grandi club. Per ora, insomma, il campionato non c’è e non c’è nemmeno il presidente della Lega che dovrebbe occuparsi dei problemi sopracitati. Lasciateci almeno il mercato delle figurine» (Enrico Maida).
• Top. «Il calcio è arrivato al top, oltre non si va, oppure si va, ma in galera» (Luciano Moggi).