la Repubblica, 14 settembre 2016
Non sparate su Natalia Aspesi perché non ha letto Foscolo
Natalia Aspesi ha denunciato l’intolleranza e l’aggressività con cui è stata accolta, sul web, la sua candida confessione di non aver mai letto il sonetto foscoliano A Zacinto. Pur essendo un foscoliano accanito (i miei studenti universitari ne sanno qualcosa), anzi proprio perché lo sono, le esprimo la mia solidarietà. Mi verrebbe anche voglia di convocare questi intemperanti per sottoporli a un raffinato esamino sull’opera omnia foscoliana, e poi ne riparleremmo.
A prescindere dagli insulti, tantopiù deprecabili quanto più coperti dall’anonimato, è abbastanza aberrante che la demonizzazione arrivi non da una dotta accademia o da lettori «d’altri tempi», ma dagli habitués della rete, che per definizione favorisce e autorizza un rapporto dispersivo e spesso superficiale con la cultura classicamente intesa (per non parlare della subumana riduzione del giudizio e dell’interpretazione nei termini di mi piace / non mi piace).
Ma accantoniamo anche questo aspetto: resta il dato materiale per cui una vita non basta a leggere un millesimo del leggibile, sicché è evidente che anche il più forsennato dei lettori sconterà un’infinità di lacune. La Aspesi cita fra le proprie letture la Szymborska, come a far intendere che se non ha letto Foscolo non è stato per leggere Bruno Vespa, ma un altro poeta. Si dirà: sì, ma Foscolo rientra nei programmi scolastici, ed è (auspice Mazzini) uno dei nostri padri spirituali. E allora? Non è proprio questo, notoriamente, un disvalore? Quanti dei nostri studenti hanno in uggia Dante o Manzoni per colpa della scuola! Si faccia la controprova, si costringano gli studenti ad analizzare e a riassumere Siddharta o Il giovane Holden e si vedrà come anche questi libri generazionalmente così fortunati cadranno in disgrazia. Lasciamo Foscolo a chi lo ama profondamente e liberiamolo da tutti gli altri, enorme categoria in cui rientra l’ignorante puro, chi come la Aspesi ha letto e legge altro, e chi come Gadda lo sbeffeggiò col libello Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo.
Personalmente, credo di aver letto molti libri, e di averli potuti leggere proprio perché non ne ho letti tanti altri. Ho letto Flatlandia di Abbott e la trilogia di Gormenghast di Peake e tutto Lovecraft, ma non ho letto L’uomo senza qualità né Auster né Coetzee: verrò crocefisso, per questo? Se ne avrò il tempo, cercherò di rimediare, altrimenti pazienza (anzi, probabilmente in extremis rileggerei per l’ottava o nona volta Il richiamo della foresta).
Meglio leggere due volte un libro che si ama (La bestia umana di Zola per esempio, o Il conte di Montecristo) che una sola volta quel libro più un altro libro che si legge «per dovere». Sono circondato da amici che, facendone una missione, cercano di convertirmi a Pynchon o a Foster Wallace o a Roth: è colpa mia se, consapevole di non disporre dei necessari enzimi, coltivo una letteratura più vecchiotta e possibilmente europea (Joseph Roth al posto di Philip), limitandomi per l’America a Steinbeck, alla O’Connor, a McCarthy e a King? Sì, è colpa mia, ma come Don Giovanni non me ne pento, convinto come sono che la forza di un lettore sia nelle sue idiosincrasie e nelle sue intolleranze. Si può immaginare qualcosa di più sospetto di un lettore ecumenico, uno cui la lettura dia sempre e invariabilmente lo stesso piacere medio? Quanto più passa il tempo tanto più mi convinco dell’immensità di uno scrittore come Gombrowicz: forse è per questo che lo utilizzo come test per verificare la cultura letteraria del mio interlocutore? (Al contrario, mi verrebbe da nasconderlo ai più per leggerlo più gelosamente e più religiosamente).
E poi il sonetto imprescindibile di Foscolo non è A Zacinto: è Alla sera.
(L’autore è scrittore, poeta e traduttore)