L’Illustrazione Italiana, 25 giugno 1916
Dite la verità
II.
Gli ospiti attesi arrivarono una settimana dopo con bauli, valigie e cappelliere, e scesero una sera dalla loro automobile dinanzi alla Villa dei Salici, dove Fausta e Massimiliano Delisi li aspettavano con una certa trepidazione.
Furio Artali, che guidava egli stesso la macchina, balzò pel primo fra le braccia dell’amico, mentre sua sorella Silvia, tutta avvolta in un impenetrabile velo verde-smeraldo, stringeva a Fausta tutte e due le mani, esclamando con una voce dal timbro acutamente metallico:
– Come sono felice di conoscerla, cara signora. Furio m’ha parlato tanto di lei! Noi saremo certamente amiche, non è vero?
Che Furio le avesse parlato tanto di lei era una cosa assolutamente inverosimile, perché l’aveva veduta non più d’una volta e molto fuggevolmente, ma Fausta pensò con un sorriso di gaia ironia che per fortuna gli ospiti scelti da suo marito coltivavano l’arte sottile e signorile delle amabili menzogne.
– Sapete perché vi ho invitati qui? – diceva intanto Massimiliano accompagnando i nuovi arrivati alle loro camere; – perché mia moglie ed io ci annoiavamo tanto che ci occorreva assolutamente una compagnia divertente.
– Adesso costoro s’offendono e tornano indietro, – rifletté palpitando d’ansia la signora Delisi nell’attimo di silenzio che seguì quelle parole.
Ma Furio e Silvia Artali risero sonoramente, il primo battendo la palma aperta sulle spalle dell’amico, l’altra infilando con graziosa familiarità il suo braccio nel braccio di Fausta.
– Se è così avremo anche diritto alla vostra eterna gratitudine, – dichiarò il fratello, e la sorella aggiunse cingendo la vita della sua ospite:
– E noi due incominceremo col darci del tu.
Fausta frattanto, a cagione del fitto velo, non sapeva ancora che faccia avesse quella sua novella amica a cui dava con qualche esitazione del tu, ma quando la vide scendere mezz’ora dopo in sala da pranzo, la guardò con una meraviglia ammirata e turbata al tempo stesso.
La giovine vedova doveva prediligere il color verde perché la sua lunga persona sottile l’avvolgeva in una spirale di lucida seta molle di color smeraldo, da cui traevano uno straordinario risalto la sua carnagione molto bianca e i suoi capelli d’un biondo acceso a riflessi d’oro, evidentemente tinti con un mirabile artificio.
Ella ne rimase così colpita che dimenticò di notare la corretta e disinvolta eleganza di Furio Artali, il quale rassomigliava nell’alta e smilza persona alla sorella, pur avendo più maschiamente conservato il primitivo colore bruno dei capelli.
– Accanto a questa donna così ben dipinta io devo sembrare un’ombra evanescente, – si diceva durante il pranzo la signora Delisi, gettando qualche sguardo inquieto al grande specchio antico incassato nella parete di fronte, dove il biondo-cenere dei suoi capelli pettinati con semplicità e il grigio-perla della sua veste appena scollata dileguavano e si perdevano assorbiti dalla violenza dominante di quell’oro e di quel verde.
Quando a mezzanotte passata gli ospiti si ritirarono, ella ripeté sorridendo queste osservazioni a suo marito, e scherzando gli chiese:
– Tu che ami tanto la verità e la sincerità mi permetteresti di tingermi i capelli a quel modo?
Senonché, mentre s’aspettava da Massimiliano una risata sdegnosa e una frase pungente all’indirizzo della signora Silvia, lo vide invece assumere un’aria grave e stringersi nelle spalle:
– Innanzi tutto io non credo che quei capelli sieno tinti, – egli dichiarò. – Quello è il famoso biondo-tizianesco che è sempre esistito senza bisogno di ricorrere alle tinture.
Sua moglie trasecolava.
– Ma se ha le ciglia e le sopracciglia nere! È vero che pure quelle sono dipinte ed anche le labbra, le orecchie e le unghie.
– Oh via, – proruppe indispettito Massimiliano, – dipinta o non dipinta è una bellissima creatura, non c’è che dire.
– Dissimula almeno dinanzi a me i tuoi trasporti d’ammirazione.
– Perché devo dissimulare? È la verità.
Questa verità egli la dovette esprimere il domani e i giorni seguenti alla signora Silvia Artali, la quale sembrò compiacersene come qualunque bella donna si compiace dell’omaggio reso alla propria bellezza.
Allora anche Furio Artali incominciò a corteggiare discretamente la giovine moglie del suo amico, forse per compensarla della noncuranza in cui la lasciava spesso il marito, forse per semplice dovere di cortesia e di galanteria verso la sua graziosa ospite.
– Ma come mai potete vivere con un uomo così sgarbato, voi che siete una piccola sensitiva, così fine, così squisitamente donna? – egli le chiedeva un giorno sedendole accanto all’ombra dei salici piangenti, presso quello stagno fosco ch’ella rivedeva solo per la seconda volta, tanto l’aveva rattristata al suo arrivo.
Ora ella lo contemplava senza malinconia sentendosi accanto un amico, qualcuno che la blandiva con parole di lusinga e di tenerezza. Le piaceva anzi quel luogo taciturno e un po’tetro, quella solitudine cupa d’ombre nere e d’acque stagnanti, ove la voce umana destava lunghe risonanze d’echi.
– Voi non potete immaginare, mia cara amica, come io comprenda le vostre intime ribellioni, anzi l’urto penoso di tutta la vostra sensibilità dinanzi a certe brutali ostentazioni di franchezza che Massimiliano si permette con voi. Io stesso ne soffro come se vedessi sgualcire con ruvida mano un fiore delicato, rompere una fragile cosa composta di grazia e di bellezza. Ne soffro e contemplo il pallore madreperlaceo del vostro viso con un senso di così raccolta ammirazione e di così profonda devozione che ne sareste commossa se lo sentiste.
Fausta scuoteva dolcemente il capo con un sorriso ambiguo che disorientava Furio Artali.
– Non mi credete, amica mia, non mi credete?
– Ma sì, vi credo. È così dolce credere a qualche piacevole menzogna quando si odono sempre spiacevoli verità.
– Come siete scettica, Fausta! L’amore è dunque per voi una piacevole menzogna?
– Od una verità brutale.
L’esperienza le aveva insegnato queste cose ch’ella diceva soavemente reclinando un po’il capo sulla spalla, e in cui non poneva né risentimento, né asprezza. Ed ascoltava con un piacere fresco e curioso d’adolescente alla sua prima conquista le adulazioni lusingatrici di quel bel giovane che l’amava o che fingeva d’amarla, restando tuttavia in guardia contro di lui e contro se stessa, pronta a liberarsene al primo gesto d’audacia, al primo sentore di pericolo.
Continuarono così giorni e giorni in questa innocua schermaglia sentimentale dalla quale traevano almeno il vantaggio di non annoiarsi soverchiamente nella esistenza piuttosto monotona che loro offriva il soggiorno alla Villa dei Salici.
La interrompeva talvolta qualche passeggiata in automobile nei dintorni assai poco pittoreschi della cittadina ed allora Fausta sedeva accanto a Furio che guidava la macchina, senza curarsi di Massimiliano il quale, dietro le loro spalle, si stringeva esageratamente al fianco di Silvia.
Fu appunto al ritorno da una di queste gite che Furio Artali trovò un telegramma urgente da cui veniva chiamato prontamente in città per un affare d’importanza. La partenza fu decisa pel mattino seguente fra le irose esclamazioni di Massimiliano e il rammarico variamente manifestato degli altri.
Avevano passati venti giorni di vita comune, e Fausta, Furio e Silvia, da persone corrette, cortesi e disposte a qualche amabile dissimulazione, s’erano reciprocamente alleggerito il tedio d’una villeggiatura senza risorse e d’una casa senza allegria. Quanto a Massimiliano, dedicatosi anima e corpo alla bella vedova, aveva di nuovo inconsciamente vestito la sua sincerità d’azzurro e di roseo, rendendola bene accetta alla giovine donna ch’egli corteggiava, spesso dimenticando con l’amico e con la moglie le sue scabrose verità.
Ma quando, partiti gli ospiti, egli si ritrovò solo con Fausta, la sua missione d’uomo spietatamente sincero sempre, ovunque e con tutti, risorse d’improvviso nella sua anima conturbata dalla tristezza dell’addio e lo indusse a rivelare a sua moglie la propria debolezza.
– Confesso che se quella donna rimaneva qui ancora un poco mi faceva perdere il lume della ragione.
– Ah! – esclamò sua moglie torcendo le labbra in un sogghigno.
– Del resto lo meritava, – egli proseguì.
– Non ho mai conosciuto una creatura inquietante come quella. Uno spirito sottile, mordace, pieno d’imprevisto e una bellezza strana, signorile e selvaggia al tempo stesso, qualche cosa insomma che dava alla testa come un liquore inebriante. Oh! una donna assolutamente pericolosa e capace di destare delle passioni travolgenti. Una donna…
– Massimiliano!—proruppe interrompendolo sua moglie, con una voce vibrante di sdegno. – Che tu pensi queste cose è ammissibile, ma che tu le venga a raccontare proprio a me mi sembra un eccesso di sfrontatezza.
– Invece non è altro che un eccesso di sincerità, – dichiarò il marito tranquillamente. – Un altro le avrebbe fatto la corte di nascosto e di nascosto sarebbe arrivato ai suoi scopi. Io invece, perché ho la leale franchezza di dire la verità...
– Ma nessuno te la chiede questa franchezza, – lo avvertì Fausta violentemente. – Io preferisco una delicata menzogna alle tue verità brutali ed offensive.
– Voi altre donne siete dei poveri esseri senza coraggio e senza coerenza. Non amate che l’illusione e l’inganno, – sentenziò Massimiliano sprezzante, e crollò lungamente il capo accendendo un sigaro con una esagerata espressione di compatimento.
– Del resto, – soggiunse sua moglie dopo una pausa, durante la quale una profonda ruga scavata fra le sue sopracciglia dimostrava che una intensa lotta di sentimenti contrari si combatteva sotto il suo prolungato silenzio, – del resto non so con quale animo tu sopporteresti da me una verità consimile.
– Che cosa vuoi dire? – egli domandò soffiando il fumo dalle nari e restando a testa sollevata in attesa della risposta.
Quale dèmone perverso suggerì questa risposta alla sorda irritazione di Fausta? La sua consueta mitezza, la sua dolce timidezza, esacerbate e fustigate dalla imprudente provocazione del marito, insorgevano all’improvviso armate di zanne e d’artigli, pronte a mordere ed a ferire ambiguamente, nell’ombra, pronte a ripagare con lo stesso male il male dianzi sofferto.
– Voglio dire, – ella proseguì con una voce volutamente lenta e beffarda, —che mentre tu t’occupavi con tanto ardore di Silvia Artali, suo fratello Furio s’occupava con altrettanto ardore di tua moglie.
Ella vide passare negli occhi di Massimiliano il lampo d’ira malvagia che oscura la ragione e suggerisce le parole inconsulte:
– Quel mascalzone ti faceva la corte? – egli disse masticando il sigaro nell’angolo della bocca contratta.
– È naturale, – ella rispose con una calma sottilmente insolente, – tu avevi dimenticato persino la sua esistenza e la mia. Furio Artali è uomo troppo intelligente e mondano per non approfittare a suo vantaggio della tua comoda cecità.
– Ciò significa che anche tu approfittavi di questa comoda cecità per lasciarti corteggiare.
– Oh. Dio mio, —sogghignò Fausta stringendosi nelle spalle; – verità per verità. Dal momento che tu m’hai confessato la tua debolezza io posso confessarti la mia. La corte di Furio Artali non mi dispiaceva; tutt’altro…
A queste parole seguì una pausa di agitato silenzio in cui i due si guardarono fisso negli occhi, la donna con un’espressione di fredda e ironica sfida, l’uomo con un balenare di collera furibonda pronta a prorompere. E proruppe dopo un momento con un fiotto d’ingiurie sanguinose e stolte:
– Ah! sfrontata, vergognosa! Donnucola spudorata! Ti lasciavi corteggiare in casa mia, sotto gli occhi stessi di tuo marito, e me lo dici sorridendo tranquillamente, col più ributtante cinismo!
– Tu stesso m’hai dato l’esempio di questo cinismo, mio caro, – ella gli osservò pacatamente. – Verità per verità!
– Ma io sono un uomo, mia cara. Io posso fare e dire quanto mi piace.
– E puoi essere quanto ti piace incoerente e misero sino a farmi pena.
– Ah, ti faccio pena? Ciò vuol dire che fra te e quell’altro c’è stato qualche cosa di più grave d’un misterioso corteggiamento. Chi sa fin dove quel mascalzone è arrivato, chi sa fino a che punto tu l’hai lasciato giungere, sciagurata!
Massimiliano Delisi aveva buttato dalla finestra il sigaro con la violenza furiosa con cui vi avrebbe scaraventato il suo rivale e in piedi in faccia a sua moglie, con le mani in tasca, piegava ad ogni nuovo sospetto su di lei la sua faccia congestionata d’uomo sconvolto dalla più collerica gelosia.
Alle ultime parole Fausta non ribatté. S’alzò quasi a fatica appoggiandosi allo schienale della poltrona e s’avviò lenta, pallidissima e silenziosa alla sua camera.
Suo marito la guardò uscire, poi s’abbandonò inerte su quella stessa poltrona, con gli occhi chiusi e la fronte tra le mani. E a poco a poco sbolliva la sua ira e vi succedeva una calma torbida e pesante in cui cominciava a risorgere la coscienza della sua assurdità e della sua ingiustizia.
Attese un quarto d’ora senza osare di andare in cerca di Fausta. Ma quando già sgomento e pentito s’alzava per correre a rintracciarla, per chiederle umilmente perdono delle ingiurie e delle accuse, ella gli apparve d’un tratto dinanzi, vestita del suo ampio mantello da viaggio, col piccolo cappello circondato da un fitto velo e la sua valigetta di cuoio di Russia.
– Vado da mia zia, – ella lo avvertì, brevemente. – Parto ora col diretto della sera.
E si volse per uscire. Ma suo marito le balzò incontro, l’afferrò duramente ad un braccio, le parlò fosco sul viso:
– In nome di Dio, chi t’ha dato il permesso d’andartene così?
– Tu stesso col tuo inqualificabile contegno, – gli rispose Fausta freddamente, con gli occhi balenanti sotto l’ombra del velo nero. – Ho subito per otto mesi la tua brutale franchezza e la prima volta ch’io mi permetto di dirti una piccola, innocente verità tu me ne fai una colpa gravissima e mi copri di vituperi come l’ultima delle disgraziate. Ora basta, mio caro. Ne ho a sufficienza della tua sincerità. Vado a rifarmi da mia zia Camilla, che è almeno una persona educata. Addio.
Egli la vide così diversa dalla dolce e remissiva Fausta d’un tempo, la vide così risoluta nella sua improvvisa ed aspra decisione, e la sentì non ostante tutto così giusta, alta e nobile nel suo orgoglio di donna onesta ferita a morte, che non poté muovere altro gesto, né tentare altra parola per trattenerla.
L’udì scendere le scale col suo passo leggero, udì echeggiare nell’andito della vasta casa il rimbombo sonoro della porta che si richiudeva alle sue spalle.
Gli ospiti attesi arrivarono una settimana dopo con bauli, valigie e cappelliere, e scesero una sera dalla loro automobile dinanzi alla Villa dei Salici, dove Fausta e Massimiliano Delisi li aspettavano con una certa trepidazione.
Furio Artali, che guidava egli stesso la macchina, balzò pel primo fra le braccia dell’amico, mentre sua sorella Silvia, tutta avvolta in un impenetrabile velo verde-smeraldo, stringeva a Fausta tutte e due le mani, esclamando con una voce dal timbro acutamente metallico:
– Come sono felice di conoscerla, cara signora. Furio m’ha parlato tanto di lei! Noi saremo certamente amiche, non è vero?
Che Furio le avesse parlato tanto di lei era una cosa assolutamente inverosimile, perché l’aveva veduta non più d’una volta e molto fuggevolmente, ma Fausta pensò con un sorriso di gaia ironia che per fortuna gli ospiti scelti da suo marito coltivavano l’arte sottile e signorile delle amabili menzogne.
– Sapete perché vi ho invitati qui? – diceva intanto Massimiliano accompagnando i nuovi arrivati alle loro camere; – perché mia moglie ed io ci annoiavamo tanto che ci occorreva assolutamente una compagnia divertente.
– Adesso costoro s’offendono e tornano indietro, – rifletté palpitando d’ansia la signora Delisi nell’attimo di silenzio che seguì quelle parole.
Ma Furio e Silvia Artali risero sonoramente, il primo battendo la palma aperta sulle spalle dell’amico, l’altra infilando con graziosa familiarità il suo braccio nel braccio di Fausta.
– Se è così avremo anche diritto alla vostra eterna gratitudine, – dichiarò il fratello, e la sorella aggiunse cingendo la vita della sua ospite:
– E noi due incominceremo col darci del tu.
Fausta frattanto, a cagione del fitto velo, non sapeva ancora che faccia avesse quella sua novella amica a cui dava con qualche esitazione del tu, ma quando la vide scendere mezz’ora dopo in sala da pranzo, la guardò con una meraviglia ammirata e turbata al tempo stesso.
La giovine vedova doveva prediligere il color verde perché la sua lunga persona sottile l’avvolgeva in una spirale di lucida seta molle di color smeraldo, da cui traevano uno straordinario risalto la sua carnagione molto bianca e i suoi capelli d’un biondo acceso a riflessi d’oro, evidentemente tinti con un mirabile artificio.
Ella ne rimase così colpita che dimenticò di notare la corretta e disinvolta eleganza di Furio Artali, il quale rassomigliava nell’alta e smilza persona alla sorella, pur avendo più maschiamente conservato il primitivo colore bruno dei capelli.
– Accanto a questa donna così ben dipinta io devo sembrare un’ombra evanescente, – si diceva durante il pranzo la signora Delisi, gettando qualche sguardo inquieto al grande specchio antico incassato nella parete di fronte, dove il biondo-cenere dei suoi capelli pettinati con semplicità e il grigio-perla della sua veste appena scollata dileguavano e si perdevano assorbiti dalla violenza dominante di quell’oro e di quel verde.
Quando a mezzanotte passata gli ospiti si ritirarono, ella ripeté sorridendo queste osservazioni a suo marito, e scherzando gli chiese:
– Tu che ami tanto la verità e la sincerità mi permetteresti di tingermi i capelli a quel modo?
Senonché, mentre s’aspettava da Massimiliano una risata sdegnosa e una frase pungente all’indirizzo della signora Silvia, lo vide invece assumere un’aria grave e stringersi nelle spalle:
– Innanzi tutto io non credo che quei capelli sieno tinti, – egli dichiarò. – Quello è il famoso biondo-tizianesco che è sempre esistito senza bisogno di ricorrere alle tinture.
Sua moglie trasecolava.
– Ma se ha le ciglia e le sopracciglia nere! È vero che pure quelle sono dipinte ed anche le labbra, le orecchie e le unghie.
– Oh via, – proruppe indispettito Massimiliano, – dipinta o non dipinta è una bellissima creatura, non c’è che dire.
– Dissimula almeno dinanzi a me i tuoi trasporti d’ammirazione.
– Perché devo dissimulare? È la verità.
Questa verità egli la dovette esprimere il domani e i giorni seguenti alla signora Silvia Artali, la quale sembrò compiacersene come qualunque bella donna si compiace dell’omaggio reso alla propria bellezza.
Allora anche Furio Artali incominciò a corteggiare discretamente la giovine moglie del suo amico, forse per compensarla della noncuranza in cui la lasciava spesso il marito, forse per semplice dovere di cortesia e di galanteria verso la sua graziosa ospite.
– Ma come mai potete vivere con un uomo così sgarbato, voi che siete una piccola sensitiva, così fine, così squisitamente donna? – egli le chiedeva un giorno sedendole accanto all’ombra dei salici piangenti, presso quello stagno fosco ch’ella rivedeva solo per la seconda volta, tanto l’aveva rattristata al suo arrivo.
Ora ella lo contemplava senza malinconia sentendosi accanto un amico, qualcuno che la blandiva con parole di lusinga e di tenerezza. Le piaceva anzi quel luogo taciturno e un po’tetro, quella solitudine cupa d’ombre nere e d’acque stagnanti, ove la voce umana destava lunghe risonanze d’echi.
– Voi non potete immaginare, mia cara amica, come io comprenda le vostre intime ribellioni, anzi l’urto penoso di tutta la vostra sensibilità dinanzi a certe brutali ostentazioni di franchezza che Massimiliano si permette con voi. Io stesso ne soffro come se vedessi sgualcire con ruvida mano un fiore delicato, rompere una fragile cosa composta di grazia e di bellezza. Ne soffro e contemplo il pallore madreperlaceo del vostro viso con un senso di così raccolta ammirazione e di così profonda devozione che ne sareste commossa se lo sentiste.
Fausta scuoteva dolcemente il capo con un sorriso ambiguo che disorientava Furio Artali.
– Non mi credete, amica mia, non mi credete?
– Ma sì, vi credo. È così dolce credere a qualche piacevole menzogna quando si odono sempre spiacevoli verità.
– Come siete scettica, Fausta! L’amore è dunque per voi una piacevole menzogna?
– Od una verità brutale.
L’esperienza le aveva insegnato queste cose ch’ella diceva soavemente reclinando un po’il capo sulla spalla, e in cui non poneva né risentimento, né asprezza. Ed ascoltava con un piacere fresco e curioso d’adolescente alla sua prima conquista le adulazioni lusingatrici di quel bel giovane che l’amava o che fingeva d’amarla, restando tuttavia in guardia contro di lui e contro se stessa, pronta a liberarsene al primo gesto d’audacia, al primo sentore di pericolo.
Continuarono così giorni e giorni in questa innocua schermaglia sentimentale dalla quale traevano almeno il vantaggio di non annoiarsi soverchiamente nella esistenza piuttosto monotona che loro offriva il soggiorno alla Villa dei Salici.
La interrompeva talvolta qualche passeggiata in automobile nei dintorni assai poco pittoreschi della cittadina ed allora Fausta sedeva accanto a Furio che guidava la macchina, senza curarsi di Massimiliano il quale, dietro le loro spalle, si stringeva esageratamente al fianco di Silvia.
Fu appunto al ritorno da una di queste gite che Furio Artali trovò un telegramma urgente da cui veniva chiamato prontamente in città per un affare d’importanza. La partenza fu decisa pel mattino seguente fra le irose esclamazioni di Massimiliano e il rammarico variamente manifestato degli altri.
Avevano passati venti giorni di vita comune, e Fausta, Furio e Silvia, da persone corrette, cortesi e disposte a qualche amabile dissimulazione, s’erano reciprocamente alleggerito il tedio d’una villeggiatura senza risorse e d’una casa senza allegria. Quanto a Massimiliano, dedicatosi anima e corpo alla bella vedova, aveva di nuovo inconsciamente vestito la sua sincerità d’azzurro e di roseo, rendendola bene accetta alla giovine donna ch’egli corteggiava, spesso dimenticando con l’amico e con la moglie le sue scabrose verità.
Ma quando, partiti gli ospiti, egli si ritrovò solo con Fausta, la sua missione d’uomo spietatamente sincero sempre, ovunque e con tutti, risorse d’improvviso nella sua anima conturbata dalla tristezza dell’addio e lo indusse a rivelare a sua moglie la propria debolezza.
– Confesso che se quella donna rimaneva qui ancora un poco mi faceva perdere il lume della ragione.
– Ah! – esclamò sua moglie torcendo le labbra in un sogghigno.
– Del resto lo meritava, – egli proseguì.
– Non ho mai conosciuto una creatura inquietante come quella. Uno spirito sottile, mordace, pieno d’imprevisto e una bellezza strana, signorile e selvaggia al tempo stesso, qualche cosa insomma che dava alla testa come un liquore inebriante. Oh! una donna assolutamente pericolosa e capace di destare delle passioni travolgenti. Una donna…
– Massimiliano!—proruppe interrompendolo sua moglie, con una voce vibrante di sdegno. – Che tu pensi queste cose è ammissibile, ma che tu le venga a raccontare proprio a me mi sembra un eccesso di sfrontatezza.
– Invece non è altro che un eccesso di sincerità, – dichiarò il marito tranquillamente. – Un altro le avrebbe fatto la corte di nascosto e di nascosto sarebbe arrivato ai suoi scopi. Io invece, perché ho la leale franchezza di dire la verità...
– Ma nessuno te la chiede questa franchezza, – lo avvertì Fausta violentemente. – Io preferisco una delicata menzogna alle tue verità brutali ed offensive.
– Voi altre donne siete dei poveri esseri senza coraggio e senza coerenza. Non amate che l’illusione e l’inganno, – sentenziò Massimiliano sprezzante, e crollò lungamente il capo accendendo un sigaro con una esagerata espressione di compatimento.
– Del resto, – soggiunse sua moglie dopo una pausa, durante la quale una profonda ruga scavata fra le sue sopracciglia dimostrava che una intensa lotta di sentimenti contrari si combatteva sotto il suo prolungato silenzio, – del resto non so con quale animo tu sopporteresti da me una verità consimile.
– Che cosa vuoi dire? – egli domandò soffiando il fumo dalle nari e restando a testa sollevata in attesa della risposta.
Quale dèmone perverso suggerì questa risposta alla sorda irritazione di Fausta? La sua consueta mitezza, la sua dolce timidezza, esacerbate e fustigate dalla imprudente provocazione del marito, insorgevano all’improvviso armate di zanne e d’artigli, pronte a mordere ed a ferire ambiguamente, nell’ombra, pronte a ripagare con lo stesso male il male dianzi sofferto.
– Voglio dire, – ella proseguì con una voce volutamente lenta e beffarda, —che mentre tu t’occupavi con tanto ardore di Silvia Artali, suo fratello Furio s’occupava con altrettanto ardore di tua moglie.
Ella vide passare negli occhi di Massimiliano il lampo d’ira malvagia che oscura la ragione e suggerisce le parole inconsulte:
– Quel mascalzone ti faceva la corte? – egli disse masticando il sigaro nell’angolo della bocca contratta.
– È naturale, – ella rispose con una calma sottilmente insolente, – tu avevi dimenticato persino la sua esistenza e la mia. Furio Artali è uomo troppo intelligente e mondano per non approfittare a suo vantaggio della tua comoda cecità.
– Ciò significa che anche tu approfittavi di questa comoda cecità per lasciarti corteggiare.
– Oh. Dio mio, —sogghignò Fausta stringendosi nelle spalle; – verità per verità. Dal momento che tu m’hai confessato la tua debolezza io posso confessarti la mia. La corte di Furio Artali non mi dispiaceva; tutt’altro…
A queste parole seguì una pausa di agitato silenzio in cui i due si guardarono fisso negli occhi, la donna con un’espressione di fredda e ironica sfida, l’uomo con un balenare di collera furibonda pronta a prorompere. E proruppe dopo un momento con un fiotto d’ingiurie sanguinose e stolte:
– Ah! sfrontata, vergognosa! Donnucola spudorata! Ti lasciavi corteggiare in casa mia, sotto gli occhi stessi di tuo marito, e me lo dici sorridendo tranquillamente, col più ributtante cinismo!
– Tu stesso m’hai dato l’esempio di questo cinismo, mio caro, – ella gli osservò pacatamente. – Verità per verità!
– Ma io sono un uomo, mia cara. Io posso fare e dire quanto mi piace.
– E puoi essere quanto ti piace incoerente e misero sino a farmi pena.
– Ah, ti faccio pena? Ciò vuol dire che fra te e quell’altro c’è stato qualche cosa di più grave d’un misterioso corteggiamento. Chi sa fin dove quel mascalzone è arrivato, chi sa fino a che punto tu l’hai lasciato giungere, sciagurata!
Massimiliano Delisi aveva buttato dalla finestra il sigaro con la violenza furiosa con cui vi avrebbe scaraventato il suo rivale e in piedi in faccia a sua moglie, con le mani in tasca, piegava ad ogni nuovo sospetto su di lei la sua faccia congestionata d’uomo sconvolto dalla più collerica gelosia.
Alle ultime parole Fausta non ribatté. S’alzò quasi a fatica appoggiandosi allo schienale della poltrona e s’avviò lenta, pallidissima e silenziosa alla sua camera.
Suo marito la guardò uscire, poi s’abbandonò inerte su quella stessa poltrona, con gli occhi chiusi e la fronte tra le mani. E a poco a poco sbolliva la sua ira e vi succedeva una calma torbida e pesante in cui cominciava a risorgere la coscienza della sua assurdità e della sua ingiustizia.
Attese un quarto d’ora senza osare di andare in cerca di Fausta. Ma quando già sgomento e pentito s’alzava per correre a rintracciarla, per chiederle umilmente perdono delle ingiurie e delle accuse, ella gli apparve d’un tratto dinanzi, vestita del suo ampio mantello da viaggio, col piccolo cappello circondato da un fitto velo e la sua valigetta di cuoio di Russia.
– Vado da mia zia, – ella lo avvertì, brevemente. – Parto ora col diretto della sera.
E si volse per uscire. Ma suo marito le balzò incontro, l’afferrò duramente ad un braccio, le parlò fosco sul viso:
– In nome di Dio, chi t’ha dato il permesso d’andartene così?
– Tu stesso col tuo inqualificabile contegno, – gli rispose Fausta freddamente, con gli occhi balenanti sotto l’ombra del velo nero. – Ho subito per otto mesi la tua brutale franchezza e la prima volta ch’io mi permetto di dirti una piccola, innocente verità tu me ne fai una colpa gravissima e mi copri di vituperi come l’ultima delle disgraziate. Ora basta, mio caro. Ne ho a sufficienza della tua sincerità. Vado a rifarmi da mia zia Camilla, che è almeno una persona educata. Addio.
Egli la vide così diversa dalla dolce e remissiva Fausta d’un tempo, la vide così risoluta nella sua improvvisa ed aspra decisione, e la sentì non ostante tutto così giusta, alta e nobile nel suo orgoglio di donna onesta ferita a morte, che non poté muovere altro gesto, né tentare altra parola per trattenerla.
L’udì scendere le scale col suo passo leggero, udì echeggiare nell’andito della vasta casa il rimbombo sonoro della porta che si richiudeva alle sue spalle.