la Repubblica, 7 luglio 2016
I colletti delle camicie, le donne, i sandali, le giacche Caraceni. Ricordi personali di Valentino Zeichen
Ricordo di molti anni fa. Valentino Zeichen era in agguato dietro le colonne della Galleria d’Arte Moderna a Roma dove danno una delle grandi mostre. Escono due ragazze con il golfino attillato, forse straniere forse no, che discutono con animazione e Valentino si fa avanti rapido, le ferma con sicurezza e dice: «La tela dei quadri di Fontana non è fatta per ricevere un’immagine è l’immagine». Le ragazze sono italiane, si guardano tra loro interdette e scoppiano in una risata, una di loro si riprende e ha la prontezza di rispondere: «E lei come lo sa?». Valentino, camminando, usa volutamente una prosa criptica che dovrebbe implicare chissà quali profondità di pensiero, ma vuole solo rimorchiare in modo elegante. E la risposta alle ragazze sta a indicare che in un tratto stabilito ora è lui non a mollare la presa perché ha una lingua sciolta, è un bel ragazzo alto, magro, e la sua è un’eleganza innata. Tutto il contrario di un pappagallo di strada.
Valentino ha avuto sempre amori brevi, perché è stato sempre troppo povero per permettersi rapporti più stabili. Con un cuore come la «porta girevole di un albergo ad ore» e uno sguardo troppo sarcastico per i romanzi. Una delle sue poesie recitate agli amici, Semiotica, dice: «Come la spia rossa che si accende sul cruscotto e segnala al conducente, che la benzina è alla fine, così, anche il sentimento che nutrivo per te è ormai in riserva».
Abituati in Italia ai cultori del lirismo, agli ermetici di seconda mano, ai piagnoni e ai sofferenti del mal di vivere, questa prosa sarcastica e tagliente ha come un effetto rinfrescante e leggero. Valentino è stato uno dei pochissimi poeti che abbiano circolato dalle nostre parti, uno dei rari che non si prendeva sul serio, ma anche uno dei più dotati nell’usare la comicità.
Non ha mai avuto una lira. I giornali se li faceva prestare dal giornalaio e li restituiva la sera. Per un periodo una sua amica, di cui non si può fare il nome, gli regalò le scarpe di un famoso fabbricante di scarpe londinese e delle giacche di cachemire tagliate da Caraceni che rubava al marito. Così abbigliato era accolto dall’élite romana perché reclamato a recitare la parte del poeta come tutti gli altri commensali facevano la parte del grande giornalista o del grande generale. Poi questa farsa finì e lui tornò ai sandali che era l’unica cosa che si poteva permettere e per cui metteva da parte ogni anno i soldi per comprarli. Aveva saputo dai francescani che i piedi non vanno costretti in scarpe di cuoio troppo pesanti ma devono prendere aria e così lui ogni anno si andava a comperare un paio di sandali.
Ci teneva molto al suo aspetto. C’è un video in cui lui compare mentre sta stirando una camicia nella famosa baracca ai piedi di Villa Borghese dove ha vissuto per oltre cinquant’anni. Valentino spiega che le ragazze lo venivano a trovare, volevano sempre parlare di poesia, di amore e quando poi chiedeva se fossero anche capaci di dargli una mano per ripassare il ferro sul colletto, loro si allontanavano subito e quindi lui era costretto a stirarsi da solo le camicie.
Quei pochi soldi che guadagnava li faceva recitando le sue poesie, era un ottimo dicitore e la più bella e quella che aveva più successo era sempre una che si chiamava Cerniera lampo: «Sul binario dentato / della cerniera lampo / a lunga percorrenza / simile a una piccola motrice / lo zip sibila come un brivido / toccando alte velocità e / lascia dietro di sé l’abisso / del corpo denudato che sgomenta / l’ammiratore di paesaggi». E un’altra diceva: «Contemplo incantato / il punteggiato firmamento / sui prominenti emisferi / dei muscolosi glutei. / Nelle miriadi di efelidi / si può ammirare copia / del cielo stellato con / le costellazioni note e / a noi care, e le lontane; / ma si trepida per loro / poiché gravitano intorno / a un buco nero». Questo era un poeta, ce ne saranno mai degli altri?