la Repubblica, 2 marzo 2016
Sul vero supermarket dei bambini
I bambini randagi delle megalopoli, i bambini annegati nel Mediterraneo, i bambini che muoiono sotto le bombe e i bambini soldato, le bambine kamikaze, le bambine vendute come spose, i bambini ladri e i bambini accattoni, i bambini rapiti e uccisi per venderne gli organi hanno, in questo momento, molta meno fama (e meno tutori) del bambino nato in America su commissione di Nichi Vendola e del suo compagno. Ne taccio il nome perché è diventato il nome di un “caso”. Non di un bambino. Di un “caso”. Lo scempio dell’infanzia, nel mondo, non si occupa dei modi del concepimento e della gestazione. È del tutto indifferente al dibattito prenatale, men che meno si interessa di religione e/o di morale familiare. Colpisce la vita così come la trova. Usa i bambini (i bambini poveri, ovviamente) come merce o carne da cannone o cavie da sperimentazione. Li compra e li vende. Desta qualche sospetto, dunque, udire la definizione di “supermarket dei bambini” (Di Maio) per polemizzare contro la pratica della maternità surrogata, in alcuni Stati ammessa solo come donazione, in altri anche dietro pagamento, in altri ancora (il nostro) vietata. Il vero supermarket dei bambini è un milione di volte più grande, più potente, più calcolatore. Se ci si occupasse dei bambini già nati con lo stesso vigore etico, la stessa passione politica che circonda, in questi giorni, le tecniche di gravidanza, la condizione dell’infanzia farebbe un grande balzo in avanti.