La Stampa, 24 febbraio 2016
Shonda Rhimes, la regina delle fiction racconta come ha cambiato la sua vita in un libro
Nel libro L’anno del sì, Shonda Rhimes racconta che la passione per le storie ce l’ha da quando era piccola e che, a tre anni, si chiudeva nella dispensa a giocare con i barattoli facendoli recitare come fossero attori mentre i suoi genitori, in salotto, ascoltavano alla radio le testimonianze del processo per lo scandalo Watergate.
Avanti veloce di 43 anni: quella bambina dalla fantasia precoce e con l’imprinting per gli intrighi politici è oggi la donna più potente della televisione americana. A lei si devono i successi planetari di Greys’ Anatomy, Scandal, Private Practice e Le regole del delitto perfetto (questa ultima solo prodotta, le altre anche scritte) e una casa di produzione, Shondaland, che dà il nome dell’intera serata del giovedì sulla rete Abc, quando i suoi show vengono trasmessi uno di seguito all’altro.
È venerata come una rockstar, rispettata come un capo di Stato, temuta come un amministratore delegato. Le vengono attribuiti diversi meriti, non ultimo quello di aver portato sullo schermo protagoniste complesse e toste alle prese con decisioni scomode e impopolari, come quella di non sposarsi, non avere figli e, se il caso, addirittura abortire (lo fa il chirurgo Cristina Yang in uno degli episodi più controversi, ma al tempo stesso femministi, di Grey’s Anatomy).
L’altro merito non da poco è di aver dato voce a donne di colore vincenti e di potere, una categoria per troppo tempo trascurata: in termini di «empowerment», Rhimes sta facendo per le donne afroamericane almeno quanto Michelle Obama e Beyoncé e la vittoria di Viola Davis, protagonista deLe regole del delitto perfetto nei panni dell’avvocato Annalise Keating, agli Emmy dell’anno scorso, prima donna di colore della storia, è merito suo.
Introversa al limite della fobia sociale e dipendente dal lavoro (riceve in media 2.500 email al giorno), Rhimes qualche anno fa è andata incontro a una vera e propria riorganizzazione della vita, che è poi il tema di L’anno del sì. Metà memoir e metà manuale di auto aiuto, il libro rivela questioni molto personali, come ad esempio la decisione – presa l’11 settembre 2001, mentre guardava le Twin Towers cadere in tv – di adottare una bambina (le altre due figlie sono una adottata e una avuta da madre surrogata). Altre sono mettersi a dieta e perdere più di 50 chili, smettere di rispondere alle mail di lavoro dopo le sette di sera, giocare di più con le figlie, cominciare a dire di sì a tutti gli inviti sociali, che sia andare alla Casa Bianca, parlare in pubblico davanti agli studenti della sua ex scuola, andare ospite allo show di Jimmy Kimmel, tutte cose che la terrorizzavano e che ha sempre evitato di fare.
Per chi ama i personaggi delle sue serie l’aspetto più divertente del libro è l’immancabile gioco dei rimandi. Non è un caso se Grey’s Anatomy si apre con Meredith al primo giorno di un lavoro di cui sa poco e nulla, perché è esattamente ciò che è successo a Rhimes alle prese con il primo show. E non è neanche un caso se il personaggio scritto con più amore e dedizione è proprio quello di Cristina Yang, il perfetto alter ego di Shonda perché opposta alle lei stessa prima della trasformazione: entrambe sono divorate dal genio del talento e dall’ambiziose, ma mentre Cristina è determinata e spavalda, la Shonda «pre-sì» è socialmente timida, paralizzata dalla paura in contesti che non siano quello lavorativo.
Nei ringraziamenti del libro, Rhimes riporta una conversazione avuta con l’attrice che interpretava Cristina, Sandra Oh. «Come facevi a dire le cose che volevi dire prima di decidere di cambiare vita?», chiede Sandra. «Le facevo dire a te», risponde Shonda.