la Repubblica, 16 gennaio 2016
Giachetti si candida a sindaco di Roma, vasto programma
Il primo partito non si scorda mai. Se poi, come nel caso di Roberto Giachetti, si tratta dei radicali l’imprinting spiega anche troppo del candidato sindaco del Pd, fantasista renziano per certi versi buttato e per altri buttatosi nel pantano capitolino comunque con slancio fin troppo temerario, spes contra spem, come direbbe Pannella con linguaggio biblico intendendo la più disperata delle speranze, quella di conquistare il Campidoglio.
Così i processi di apprendimento biologico di quel mondo divenuto ormai antico – militanza ai limiti dell’eroismo, povertà diffusa, promiscuità sentimentale pure, sedi tanto buie quanto ravvivate da intrattabili e leggendari personaggi, «pazzi poeti e poeti pazzi» secondo il suggestivo canone pannelliano – rivivono dentro il video girato nella zona più garibaldina della capitale, ma in fondo anche nel cip-cip-cip degli uccellini che accompagnano le parole di Giachetti, giovanissimo redattore di Radio radicale a Montecitorio, fine anni ’80, e in seguito ambientalista «disseminato» d’autorità fra i Verdi, a loro volta poi trasfiguratisi in Arcobaleno.
Da queste parti si colloca e certamente fruttifica il legame con Francesco Rutelli, allora non esattamente un eretico radicale, ma dopo la conversione sì. Con lui Giachetti ha scalato il Campidoglio (1993), è stato prima capo della segreteria del «sindaco col motorino», poi capo di gabinetto del sindaco del Giubileo (2000). Come tale ha conosciuto il potere dal di dentro, imparandone l’indispensabile spregiudicatezza e la facoltativa discrezione. Ma è rimasto sempre molto laico, diciamo pure – per quanto vale l’antica espressione – anticlericale.
In compagnia di altre figure a quel tempo vietamente rubricate come «Rutelli boys» e oggi assimilate al nucleo di cristallo del renzismo (Sensi, Gentiloni, Anzaldi), per vie traverse e tortuose scorciatoie Giachetti ha quindi messo il know-how della scuola radicale al servizio della Margherita, effimera e misteriosa entità post-democristoide scioltasi nel felliniano Teatro 5 di Cinecittà.
Gusto della provocazione, abilità comunicativa, uso spettacolare del corpo a costo zero; ed ecco che contro il berlusconismo, divenuto parlamentare, ha accumulato espulsioni per imbavagliamenti e semi-spogliarelli in aula, mentre sulla piazza, per attirare attenzione sulla mancanza di plenum della Consulta, ha fatto anche l’uomo- statua (2002).
Ma la sua specialità sono stati gli scioperi della fame, spesso accompagnati e documentati, alla maniera radicale, con terrificanti bollettini medici e foto (poi video). Si è battuto allo stremo contro il Porcellum (meno 18 chili), pure con paradossale distribuzione di porchetta da Eataly; ma ha pure digiunato per favorire la nascita del Pd (2007) e poi l’esecuzione delle primarie (2008). Sconfitto, cioè ignorato, si è dimesso dal Pd, ma non dal gruppo. Alle ultime elezioni gli uomini di Bersani volevano toglierselo di torno, ma su una scena sempre più densa di spettacoli, le generose e acrobatiche battaglie da one man show hanno salvato il posto a Giachetti più di quanto potesse l’adesione al renzismo, allora minoritario.
Vicepresidente della Camera senza cravatta. Svelto, affabile, ironico, iper-cinetico e abbastanza apprensivo. Amico dei giornalisti, di Luigi Di Maio e di Giorgia Meloni (una cena fra carissimi avversari l’8 marzo di qualche anno fa); valente cuoco, ha ammesso di essere «sbroccato» per una concorrente del Grande Fratello e come motto personale, oltre all’oraziano Carpe diem, ha posto su qualche social net, di cui è assiduo frequentatore e mega animatore, un impegnativo e lievemente criptico precetto di Elias Canetti: «Riguadagnare se stessi quando si è così perduti».
Potrebbe tornargli utile nell’imminente e prossoché impossibile battaglia di Roma. Ieri ha ammesso che si tratta di un «impegno gravoso» e che l’affronta «con un pizzico di paura». La speranza è che il cip-cip-cip degli uccellini nel video sia autentico.