La Stampa, 6 luglio 2015
Unioni civili, omofobia e derisione. Il lungo elenco degli emendamenti al disegno di legge Cirinnà che è fermo in Senato e su cui forse si riuscirà ad arrivare all’approvazione in autunno, dopo molti compromessi rispetto al testo originario
Dov’è che due persone dello stesso sesso costituiscono «un’unione difettiva»? E dov’è che sono tenute ad aiutarsi moralmente, materialmente e giuridicamente per almeno vent’anni anche dopo la fine del loro legame? In un testo che è agli atti del Senato della Repubblica. È il lungo elenco degli emendamenti al disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili che è fermo in Senato e su cui forse si riuscirà ad arrivare all’approvazione in autunno, dopo molti compromessi rispetto al testo originario.
Ridicoli e sprezzanti
Per rallentare l’esame di un testo composto da 19 articoli sono stati presentati 4300 emendamenti, la gran parte dai senatori Carlo Giovanardi (Ncd-Ap), Lucio Malan di Forza Italia e Mario Mauro del gruppo Gal. La loro lettura è un’interessante immersione da un punto di vista sociologico e umano nella derisione e nel disprezzo espressi dalle compassate stanze di Palazzo Madama nei confronti delle coppie omosessuali.
Di fronte all’articolo 1 che al primo comma sosteneva che «due persone dello stesso sesso costituiscono un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni», i senatori si scatenano con ogni tipo di variazione sul tema. Giovanardi sostiene che due persone dello stesso sesso possono costituire «una comunità d’amore quando dichiarano di voler (esclusivamente per interessi altamente meritevoli di riconoscimento da parte dell’ordinamento nazionale) fondare tale unione a mezzo reciproca raccomandata con ricevuta di ritorno in plico. Oppure chiede che la loro sia un’unione civile «indissolubile», che suona come una condanna priva di appello per chi si decide al grande passo. In alternativa, anche gli altri senatori pongono come condizione per rendere valida la loro unione che debbano andare davanti al comandante dei Vigili o al sindaco di Roma anche se abitano a Trento, o che abbiano la patente di guida, o che ci sia la presenza di dieci testimoni oppure che siano in regola con l’Imu o che almeno uno dei componenti della coppia abbia la cittadinanza italiana, o che abbiano almeno 25 anni.
«L’Italia discrimina»
Si scherza, si usano toni goliardici, e in fondo è quello che sostiene il rapporto più recente dell’Agenzia per i diritti Fondamentali (Fra) dell’Unione Europea che ha citato l’Italia come uno dei Paesi dove maggiore è il tasso di discriminazione omofoba da parte delle istituzioni.
Secondo questo spirito goliardico, negli emendamenti l’unione civile viene sostituita da decine di definizioni; si va da «società economica per la gestione di abitazione» ad «unione renziana». Si rende esplicito che mai possono formare una coppia persone dello stesso sesso responsabili di reati contro i minori, dall’infanticidio all’abbandono di minore, riduzione in schiavitù, pornografia minorile, prostituzione minorile, violenza sessuale con minori, ecc. «Quasi a sottolineare come queste pratiche siano un rischio più frequente in presenza di una coppia omosessuale», commenta Sergio Lo Giudice, senatore Pd. Se poi quelli che in alcuni articoli vengono definiti «concubini» riescono ad unirsi per mancata approvazione degli emendamenti precedenti, sono tenuti «al mutuo aiuto giuridico, morale e materiale per almeno vent’anni quand’anche si sciogliesse l’unione». Giovanardi offre una possibilità di scioglimento dell’unione: «Nel caso in cui una delle parti cambi la sua identità di genere o questa diventi fluida». E l’obbligo alla fedeltà che per il matrimonio viene citato nell’articolo 143 del Codice civile per le persone dello stesso sesso, «deve essere inteso in senso largo».
«Alla fine gli emendamenti sono stati giudicati inammissibili – spiega Lo Giudice -. È stato riformulato l’articolo 1 e si è dato parere favorevole solo a 14 emendamenti che fornivano un contributo alla discussione. Di sicuro però questo significa svilire il ruolo del Parlamento perché anche quando si hanno opinioni diverse, se si parla di diritti civili bisogna usare rispetto e lasciare fuori dalle aule parlamentari le chiacchiere da bar».