Il Sole 24 Ore, 26 giugno 2015
Sulle domande di asilo l’Italia è meno efficiente di Germania e Francia. Lungaggini e burocrazia tengono bloccate migliaia di persone nei campi di accoglienza. Eppure, per far fronte all’esplosione di sbarchi iniziata in primavera, il 22 agosto dell’anno scorso il Governo aveva approvato un decreto-legge con nuove «disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale»
Come politici, politicanti, cooperative e affaristi di ogni genere siano riusciti a mettere le mani sul business dei migranti è chiaramente emerso dall’inchiesta che la Procura di Roma ha battezzato “Mondo di mezzo”. Ma a complicare la gestione dell’emergenza migranti in Italia c’è anche un altro fenomeno, meno imbarazzante ma altrettanto rilevante, di cui si parla poco. Ci riferiamo alle lungaggini e inefficienze della macchina burocratica che tengono decine di migliaia di persone parcheggiate in campi di accoglienza con il potenziale per diventare vere e proprie polveriere sociali.
L’ondata migratoria che anche quest’anno si è abbattuta sull’Italia metterebbe alla prova qualsiasi apparato pubblico del mondo, ma quello italiano sta dimostrando tutte le pecche e falle che ne fanno uno dei più mal ridotti del mondo occidentale.
Da un’inchiesta del Sole 24 Ore risulta evidente che l’infrastruttura pubblica messa in piedi dallo Stato per smaltire le domande di asilo presentate dai migranti è decisamente meno efficiente di quella di un Paese, la Germania, che nell’ultimo anno e mezzo ha fatto fronte a un numero di migranti 3 volte superiore. Nei primi cinque mesi del 2015, in Germania i 29 “sportelli” dell’Ufficio federale per migranti e rifugiati hanno ricevuto 125.972 nuove pratiche e ne hanno smaltite 93.816. Nel 2014, le nuove richieste erano state 173.072 e quelle smaltite 128.911.
Dall’Ufficio francese della protezione dei rifugiati e apolidi abbiamo invece saputo che nel 2014 sono state presentate in tutto 64.811 domande di asilo e che i suoi 225 funzionari ne hanno smaltite 45.454.
Con un terzo dei migranti arrivati in Germania la burocrazia pubblica italiana risulta invece decisamente più lenta. Eppure, per far fronte all’esplosione di sbarchi iniziata in primavera, il 22 agosto dell’anno scorso il Governo aveva approvato un decreto-legge con nuove “disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale”. La due principali disposizioni prevedevano il raddoppio delle commissioni territoriali che gestiscono le richieste di asilo, passate da dieci a venti, e l’aumento delle sotto-commissioni, o “sezioni” territoriali, fino a un massimo di trenta.
La legge di conversione di quel decreto è stata approvata in Parlamento il 17 ottobre 2014 e il numero di commissioni e sezioni è da allora pressoché raddoppiato – le commissioni sono passate da 10 a 19, e le sezioni da 7 sono diventate 13.
Nonostante ciò, dai dati che Il Sole 24 Ore è faticosamente riuscito a ottenere, la capacità di smaltimento nel nostro Paese rimane di quattro volte inferiore a quella della Germania. Nei premi cinque mesi del 2015 risultano infatti essere state smaltite appena 20.142 pratiche (nel 2014 sono state 36.270).
Ci è stato impossibile sapere quante nuove pratiche sono state presentate quest’anno perché l’ufficio stampa del Ministero dell’interno ci ha detto di non essere “in possesso dei dati relativi al numero degli sbarcati nel 2015 che hanno presentato domanda”, aggiungendo che “le decisioni prese riguardano principalmente richieste presentate in periodi precedenti”.
Il 20 giugno scorso abbiamo invece appreso da Eurostat che nel primo trimestre del 2015 in Italia sono state presentate 15.200 domande d’asilo.
Il ministero dell’Interno non ci ha fornito neppure i dati delle pratiche smaltite da ogni singola commissione o sezione (dati che ci risultano essere raccolti da una bancadati su base settimanale e quindi facilmente recuperabili). Il Sole 24 Ore è comunque indipendentemente riuscito a ottenerne una parte, appurando che uno dei motivi della lentezza è il fatto che in città come Brescia, Enna e persino una località strategica come Agrigento (per via di Lampedusa), le nuove strutture istituite dalla legge del 17 ottobre scorso sono entrate in funzione solo a maggio di quest’anno. E hanno quindi finora smaltito pochissime pratiche.
A produrre pochi risultati, rimanendo ben sotto le mille pratiche, è stata anche la commissione insediatasi a Palermo. Anche se lì il problema è relativamente meno grave, visto che il numero di migranti ospitati nel capoluogo regionale siciliano è molto più basso che altrove in Sicilia.
Quest’ultimo dato solleva però un’altra questione. Quando abbiamo chiesto al Ministero in base a quale criteri è stato deciso di creare una commissione (presieduta da un vice-prefetto vicario a tempo pieno) oppure una semplice sezione (con un vice-prefetto non a tempo pieno e quindi con ritmi di lavoro meno intensi) ci è stato risposto che «la distribuzione sul territorio delle Commissioni territoriali e relative Sezioni è stata valutata in considerazione delle presenze dei richiedenti asilo sul territorio nazionale». Ma allora come si spiega la scelta di Palermo e non Agrigento, visto che il capoluogo regionale ha meno della metà dei migranti della città della valle dei templi? Non si spiega. Quello che si sa però è che la vice-prefetto designata per quel posto, Donatella Ferrera, ha casa a Palermo e non ad Agrigento, ed è molto vicina (anche di casa) a Saverio Romano, l’ex ministro delle politiche agricole originariamente dell’Udc poi passato in Forza Italia, che la volle come vice-capo di gabinetto.
Che scelte come quella di potenziare una struttura meno carica di lavoro qual è Palermo anziché una ben più provata come Agrigento non siano prive di potenziali conseguenze lo ha dimostrato la rivolta di una cinquantina di migranti di un campo di accoglienza agrigentino che all’inizio di marzo scorso hanno bloccato il traffico e preso in ostaggio un operatore per protestare contro i ritardi nella concessione dello status di rifugiato.
Inizialmente la prassi prevedeva che ogni migrante fosse intervistato dall’intera commissione (formata da un funzionario della polizia di Stato, un componente designato dall’ente locale e uno dell’Alto commissariato delle Nazioni unite). Adesso l’intervista può essere condotta da un singolo componente. Ma questo non ha accelerato i tempi. Anzi, a volte li ha addirittura rallentati perché se l’intervista non è condotta bene, sono necessarie integrazioni che prolungano la procedura.
«Mentre in Francia le domande di asilo sono di 20 pagine, da noi sono quattro paginette da riempire in stile quiz con la possibilità, quasi mai esercitata, di allegare documentazione ulteriore. Quindi le commissioni hanno poco materiale sul quale prepararsi per le interviste», ci dice il componente di una commissione che chiede l’anonimato.
Se poi chi ha avuto la domanda respinta decide di fare ricorso al tribunale competente, cosa a cui ha diritto a spese dello Stato, i tempi diventano quelli matusalemmiani della giustizia italiana. A quel punto gli unici a guadagnarci sono gli avvocati, ai quali viene erogata dallo Stato una media di mille euro a pratica.