La Stampa, 23 marzo 2015
Te lo ricordi Zapatero? «Il potere non mi manca. Per me è un periodo molto bello, oggi vado a pranzo con le mie figlie, una cosa impensabile un tempo. Mi ricordo che in Italia diventai un mito della sinistra per il ritiro delle truppe in Iraq e per l’allargamento dei diritti sociali. Poi è arrivata la crisi, uno tsunami, gli obiettivi divennero altri»
«Sono un partito giovane, stanno cambiando la politica spagnola, ma alla fine saranno loro a cambiare». José Luis Zapatero parla di Podemos dal suo ufficio spartano del Consiglio di Stato. L’ex premier spagnolo è molto rilassato, parla di tutto con il tono dello studioso, più che del politico. Così pur giurando fedeltà eterna al Psoe (è stato segretario per 12 anni) non liquida i nuovi avversari.
Non vi fanno paura?
«No. Rispondono a una domanda istintiva delle persone: dare un’alternativa al sistema. Sono giovani, vivono nel cielo, senza tetto, né pavimento. Scopriranno che le alternative al sistema sono solo parziali e cambieranno. La democrazia ti fa cambiare».
Sono populisti?
«Si figuri, per me sono socialdemocratici e cambieranno presto. Il paragone con il M5S è sbagliato».
Lei ha incontrato il loro leader, Pablo Iglesias, un pranzo che ha fatto scalpore. Chi si è trovato davanti?
«Una persona educata e colta. Ha militato sempre nella sinistra più utopista. Ama la politica più di me».
La impressiona la forza di Marine Le Pen?
«I suoi discorsi mi fanno venire i brividi, ci fanno tornare indietro di almeno un secolo. Credo che comunque il Fn non vincerà le elezioni. L’Europa già si è suicidata una volta nella sua storia».
I socialisti spagnoli faranno la fine del Pasok greco?
«Questa è una barzelletta».
In questi giorni in Spagna Zapatero è accusato di interferire con la politica estera per essere stato ricevuto da Castro a Cuba e per aver parlato a un convegno in Marocco. I giornali dicono: «Ha perso l’aplomb». È vero?
«Sono andato a Cuba, perché quando ero primo ministro non ci ero mai riuscito. Sono stato invitato e ho accettato, il ministro degli Esteri spagnolo mi ha criticato, ma ha sbagliato lettura».
Nel suo libro ha accennato a quello che successe all’Italia al G20 di Cannes, perché le sono rimasti impressi quei giorni?
«Non dimenticherò mai quello che ho visto in Francia. Andai con il timore che potessimo essere nel mirino dei sostenitori dell’austerità, ma l’obiettivo era l’Italia».
Cosa successe?
«Berlusconi e Tremonti subirono pressioni fortissime affinché accettassero il salvataggio del Fmi. Loro non cedettero e nei corridoi si cominciò a parlare di Monti, mi sembrò strano».
Monti poco dopo divenne premier e Berlusconi parla di golpe.
«Io mi limito a raccontare quello che ho visto: gli Usa e i sostenitori dell’austerità volevano decidere al posto dell’Italia, sostituirsi al suo governo. Era vero che l’Italia aveva problemi finanziari e politici, ma qui stiamo parlando della sovranità di una nazione. È un caso che va studiato».
È un invito?
«Sì, vorrei parlarne in una sede pubblica in Italia, facciamolo presto. Sono pronto».
Conosce Renzi?
«L’ho incontrato una volta. Ho capito da come si muove che è un leader vero. C’è differenza tra essere famosi ed essere leader».
Berlusconi sarebbe quello famoso?
«Non dirò una parola contro di lui. Oggi sarebbe facile, ma ho lavorato bene con Berlusconi. Mi stupisce soltanto che sia ancora lì a far politica».
La sinistra deve combattere l’austerità?
«Non si può dare la colpa dei tagli solo alla destra o a cento fantomatici cattivi di Wall Street. Lo stato sociale è stato colpito e oggi il compito della sinistra è recuperare quello che si è perso. La destra non lo farà mai».
È quello che sta facendo Tsipras?
«Lui e l’Ue si stanno studiando, come pugili al primo round, serve tempo. La Grecia deve capire che l’euro non è il male e che i debiti si pagano. Ma vorrei sentire dall’altra parte qualche parola sulle famiglie messe ai margini della società a causa della crisi. È ora che l’Europa chieda scusa per la povertà che è dilagata in Grecia e non solo».
Cosa fa oggi Zapatero?
«Il potere non mi manca. Per me è un periodo molto bello, oggi vado a pranzo con le mie figlie, una cosa impensabile un tempo. Sto scrivendo un libro sulle riforme dei diritti sociali del mio governo».
Quelle per cui lei divenne un mito per la sinistra italiana. Se ne rese conto?
«Sì, ho anche visto Viva Zapatero, il film della Guzzanti. Diventai popolare per il ritiro delle truppe in Iraq e per l’allargamento dei diritti sociali. Le chiamarono leggi sexy, ma matrimoni gay, aborto, diritti delle donne sono conquiste democratiche talmente radicate che la destra non le ha cancellate. Ho lottato per ottenerle, i vescovi mi chiamavano relativista, un modo gentile di dire eretico».
Perché quel mito è tramontato?
«È arrivata la crisi, uno tsunami, gli obiettivi divennero altri».
Ci sono due Zapatero?
«Forse sì».