Libero, 10 marzo 2015
Pino Pisicchio, l’uomo Rai che ha cambiato più partiti che camicie. Undici in poco più di 25 anni
È ufficiale: a Pino Pisicchio è stato inserito un microchip che consente di rintracciarlo nelle sue continue migrazioni da un partito all’altro. In ventuno anni alla Camera ha cambiato undici postazioni politiche tanto che il quiz su di lui non era il classico «chi l’ha visto?», ma il perplesso: «Dove l’hai visto l’ultima volta?». Benvenuto, dunque, il braccialetto elettronico.
Non tutti sanno chi sia Pisicchio. Il personaggio è di lungo corso ma di secondo piano. Giganteggia solo nel galleggiamento. È giornalista, uomo colto, furbo più di una faina. Se seguite il Tg1 e il Tg2 avrete di Pino un’immagine subliminale. Appare di continuo, e senza ragione, nei pastoni politici mentre esce da Montecitorio e va verso la telecamera. Abbozza un sorriso come se dovesse dire qualcosa e sparisce. Un’opalescenza di cui talvolta è citato il nome, altre no. La classica pubblicità occulta. La ragione di questa predilezione è che Pino è nella Vigilanza Rai e relatore della riforma Gubitosi che riduce a due i sette tg. Tenerselo buono non può che giovare. Se siete invece fan del Tg3, Pisicchio vi uscirà dagli occhi. Lo trovate a pranzo, a cena e ospite degli speciali. A ordinarne l’onnipresenza è la direttrice, Bianca Berlinguer, che lo adora. Niente di improprio, sono entrambi felicemente accasati. La loro complicità è sulla Gubitosi, indigesta a entrambi. La figlia di Berlinguer la detesta perché spazzerebbe via il Tg3 e la sua direzione. Pisicchio la osteggia per ragioni sue o – come insinuano – per compiacere Bianca e sbafare comparse. Vi ho dato un primo assaggio del Nostro. I Pisicchio sono una dinastia dc di Bari. Natale Pisicchio, il padre, era seguace di Carlo Donat Cattin e pezzo grosso della Cisl. Da pugliese era ovviamente vicino anche ad Aldo Moro. Democristianità di sinistra allo stato puro. Essendo in una botte di ferro, Natale fu deputato ben cinque volte dal 1968 al 1987. Grazie a lui, i Pisicchio ascesero al livello delle altre due stirpi politiche locali: i Matarrese del calcio e i Di Vella della pasta. Pino, oggi sessantenne, seguì da subito le orme del babbo. A 27 anni, dopo la laurea in Legge, fu consigliere comunale dc e a 33 anni, nel 1987, entrò per la prima volta a Montecitorio. Con la Dc fu rieletto anche nel 1992. Queste prime due legislature sono anche le uniche che ha fatto, per così dire, da signore. Nel senso che c’era la Dc, di cui il papà era un pezzo grosso, e il rampollo viveva nella bambagia. La strada era spianata e l’avvenire roseo. Fu in questo periodo che Pino riscosse i maggiori successi entrando due volte nel governo. Come sottosegretario alle Finanze, con Amato premier (’92-’93), e come sottosegretario alle Infrastrutture del governo Ciampi (’93-’94). Con Tangentopoli, però, la Dc scomparve e Pisicchio, da signorino che era, dovette adattarsi. Per cominciare, pagò il pegno di saltare due legislature. Rientrato nel 2001, divenne quello di oggi: un funambolico ideatore di espedienti per perpetuare il seggio parlamentare da cui non schioda. Prima di descrivere questa seconda fase della sua vita, due parole sulle ambizioni accademiche. Giusto per sottolineare che siamo di fronte a un intellettuale. Dopo la laurea, Pino si appollaiò sull’omero di Aldo Loiodice, ordinario a Bari di Diritto Costituzionale e cospicuo dell’Opus Dei. Ne fu assistente e scrissero un libro su Moro. Il prof. fece di tutto per garantirgli una carriera – tanto da farsi intercettare al telefono mentre si prodigava – senza che accadesse però granché. Pisicchio scrisse saggi a non finire – se ne contano sessanta e altrettanti lettori – su questioni parlamentari, statuti di partiti e cose così. Ma distratto com’era dal continuo arrabattarsi per conservare il seggio alla Camera non ha mai imboccato la via accademica. Si ricavò una nicchia in due atenei cattolici, Lumsa e San Pio V, passando la maggior parte del tempo in aspettativa per impegni politici. Insomma, un velleitarismo abborracciato simile alla sua strampalata presenza in Parlamento. Al centro della vita pubblica dei Pisicchio c’è la solidarietà familiare tra i cinque fratelli, figli di Natale. Pino e il più giovane Alfonso hanno raccolto il testimone politico. Marciano in tandem e hanno un loro movimento locale, Rinnovamento Puglia. Qualsiasi cosa Pino decida su scala nazionale – in genere, il trasloco in un altro partito – lo stesso fa Alfonsino a Bari. Questo è lo sfondo. Ora entriamo nel cuore del pisicchismo: l’incessante passaggio da un gruppo all’altro per garantirsi la sopravvivenza parlamentare. Secondo uno studioso della materia, Pino, oltre a intuire infallibilmente che un partito è agli sgoccioli ed è giunta l’ora di agganciarne un altro, usa una tecnica penetrativa simile a quella del cuculo che occupa il nido della cinciallegra. Appena entra nella compagine di turno, Pisicchio è ammaliante, disponibile e fa incetta di incarichi. Appena si sente saldo, comincia invece a seminare zizzania e a pensare a se stesso (e ad Alfonsino in Puglia) per preordinarsi un’uscita, magari con altri, che gli consenta di trattare da posizioni di forza l’ingresso nel successivo partito. Nella sua ultima esperienza, quella del Centro Democratico di Bruno Tabacci, Pino, a furia di moine, si era fatto eleggere per la sesta volta deputato e presidente del gruppo misto, cui Cd aderiva. Quando però il lombardo Tabacci – che è buono e caro, ma sempre un asburgico – ha capito il tipo, ossia che tirava acqua solo al suo mulino, in giugno (2014) lo ha espulso. Brusca fine, come le tante di cui è costellata la vita avventurosa del nostro eroe. Se nella maggior parte dei vagabondaggi, Pino è rimasto nel recinto tra ex Dc e Pds, in due occasioni si è concesso varianti. Nel 2004, Raffaele Fitto, allora governatore della Puglia, lo volle candidato Fi a sindaco di Bari, contro il Pd Michele Emiliano. Buttando a mare i trascorsi sinistroidi, Pino accettò di berlusconizzarsi. Poi, la cosa non andò in porto, ma intanto la figura del voltagabbana l’aveva fatta. L’altra svolta fu candidarsi, tra il 2006 e il 2009, con l’Idv del noto pm. Un mondo, anche questo, agli antipodi del suo passato. Per riassumere: su tutto prevale la cadrega. Concludo con la mappa delle giravolte pisicchiane. L’impresa, mai tentata prima, è stata improba perché, quando pareva completa, usciva un altro tassello. Nel 1987, Pino entra in Parlamento con la Dc. Nel 1994, si candida con Segni (Patto per l’Italia), ma è trombato. Aderisce al Ppi. Nel 1996, entra in Rinnovamento Italiano (Dini). Nel 2001, è eletto con la Margherita di Ciccio Rutelli. Dal 2002 al 2004 è nell’Udeur con Clemente Mastella. Nel 2004, giro di valzer col Berlusca. Nel 2006, tango con Totò Di Pietro. Nel 2009, Alleanza per l’Italia (Tabacci-Rutelli). Nel 2012, fonda il Cd con Tabacci, sbarcando Rutelli. Dal 2014, è senza partito ma conserva la prebenda Cd di presidente del gruppo misto. Quando tra breve farà l’ennesimo salto della quaglia in vista delle politiche 2018, occhio al bip bip del microchip.