Emanuele Severino, Corriere della Sera 9/4/2014, 9 aprile 2014
PERCHÉ NON SIAMO FIGLI DEL NULLA
In ambito scientifico cresce l’insofferenza per la filosofia. Vi sono buone ragioni. Quanto vi è oggi di decisivo nel pensiero filosofico, infatti, tende a rimanere sullo sfondo. Accade anche, però, che insieme all’insofferenza cresca anche, nella scienza, l’interesse per i problemi che sono sempre stati propri del pensiero filosofico. Relativamente ai quali essa crede di poter andare molto più a fondo.
Ad esempio, la scienza si propone di giungere finalmente a una «teoria del Tutto». Connesso alla quale è il problema del nulla. Il Tutto è infatti la regione al di là della quale resta, appunto, nulla. È recente l’accesa discussione, suscitata in ambito scientifico e filosofico all’estero ma anche in Italia, dal libro del fisico statunitense Lawrence Krauss Un universo dal nulla . Perché c’è qualcosa piuttosto che il nulla? Krauss sostiene che il concetto di nulla è scientifico e non filosofico. Ma questo importa poco: il problema resta, qualunque nome gli si voglia dare. Tutt’al più si potrà dire che Krauss non conosce la filosofia e la sua storia (ma lo si può dire anche di certi filosofi, non pochi, del nostro tempo).
Il problema è presente in ogni ambito della scienza e della cultura. E innanzitutto nella vita dell’uomo. Egli è desiderio della vita e timore della morte. In che rapporto sta la morte col nulla? La morte è l’annullamento di ogni nostra esperienza? Per vivere occorre cibo e riparo. Per ottenerli si sono sperimentate diverse tecniche e forme economiche. Il capitalismo è divenuto quella dominante. L’economista Joseph Schumpeter ha definito il capitalismo «distruzione creatrice». (Crea nuovi mezzi di produzione, quindi nuovi rapporti sociali, e distrugge i vecchi. Ma poi ogni tecnica è distruzione creatrice). E in che rapporto stanno la «distruzione» e la «creazione» col nulla? Hanno senso queste parole se non si pensa il nulla?
Ancora. Per le religioni monoteistiche, le «religioni del libro», il mondo è creato «dal nulla» — ex nihilo , dice la teologia cristiana. Il cristianesimo perderebbe gran parte della propria anima e del proprio significato se volesse prescindere dal nulla che tutte le cose sono prima della loro creazione. Da gran tempo la matematica ha introdotto lo zero tra i numeri. Lo zero è una forma di assenza . I Greci lo chiamavano «nulla» (oudén ) . Come è una forma di assenza l’«insieme vuoto». Zero e insieme vuoto sono i modi più visibili in cui le matematiche pensano il nulla. E l’arte! Dove l’aspetto minaccioso e insieme ineliminabile del nulla e del «silenzio nudo» si mostra nel modo più vivido. Non solo nella poesia e nella narrativa, ma anche nelle arti figurative la precarietà dell’esistenza e delle sue forme positive, desiderabili, sta al centro. E l’intreccio del suono e del silenzio — della vita e della morte — è il fondamento stesso della musica.
Assenza, privazione, mancanza, vuoto, perdita, estinzione, silenzio: non sono forse essi gli stati in cui il mondo si trova quando i suoi contenuti e le sue forme diventano nulla? Diciamo continuamente che «qualcosa non esiste ancora» e «non esiste più». Lo si dice ovunque, in ogni campo. Ovvio che queste espressioni siano presenti nella biologia, nella paleontologia, nella storia — la stessa biologia molecolare parla di «storicità» dei fenomeni —, nella fisica e così via. Ma quelle due espressioni non significano forse, rispettivamente, che «qualcosa è ancora nulla» ed «è ormai nulla»?
Della filosofia non c’è bisogno di parlare: è essa a portare alla luce il significato radicale del nulla: — il nulla come nulla assoluto, l’assolutamente altro dalla totalità degli enti — e a continuare a rivolgersi ai problemi suscitati da tale significato. Il rivolgersi ad esso è l’inizio della storia dell’Occidente, ossia di ciò la cui essenza domina il Pianeta.
Il fisico Luke Barnes, delle tesi del collega Lawrence Krauss, ha criticato soprattutto quella per la quale, essendo pensabile che l’universo provenga da uno stato privo di materia, di particelle, di spazio, di tempo, di leggi, è possibile pensare che esso e le cose in esso contenute provengano dal nulla. Barnes obbietta che se si può concedere che le particelle provengano da stati senza particelle, esse però non provengono dal nulla. Lo stesso si dica per lo spazio e il tempo. Aristotele l’aveva detto più di duemila anni fa: all’inizio del generarsi delle cose non c’è il nulla, ma qualcosa; «le cose si generano da qualcosa a qualcosa».
Ma chiediamoci (una domanda che faccio da gran tempo): ammesso che una casa sia costruita col materiale di costruzione, col progetto dell’architetto e il lavoro degli operai, — tutte cose che esistono già prima della casa —, questo vuol forse dire che tutto ciò che la casa ora è preesisteva alla sua costruzione? No! altrimenti non ci sarebbe stato bisogno di costruirla.
C’è dunque un residuo che prima della costruzione della casa non esisteva ancora. E che significa questo suo non essere ancora? Diciamolo: questo residuo era nulla. Non in qualche senso nulla e in qualche altro no, ma era assolutamente nulla. Se le particelle provengono da stati senza particelle — ossia da qualcosa —, ciò non significa che tutto ciò che le costituisce esisteva già, prima della loro esistenza; quindi c’è un residuo che prima che esse incominciassero ad esistere era nulla, assolutamente nulla. Che le cose vengano da qualcosa e che, insieme, vengano dal loro nulla non sono dunque affermazioni incompatibili, ma l’una implica l’altra. Appunto perché all’inizio del divenire c’è il loro esser nulla, non la nullità di tutte le cose.
Ma una volta detto che l’uomo continua a pensare al nulla e a parlarne, il problema del nulla si presenta in tutta la sua potenza. Il nulla è la fonte dell’angoscia più profonda dell’uomo. (Agostino è arrivato a dire che gli uomini preferirebbero la dannazione eterna al loro definitivo annullamento). Tuttavia, sin dall’inizio del pensiero filosofico si sa che, proprio perché pensiamo il nulla e ne parliamo, proprio per questo il nulla ci sta dinanzi e ci dà da fare, così potente da esser la fonte della nostra angoscia. Accade cioè che il nulla sia qualcosa. Ciò che non è un «qualcosa» è «qualcosa». E poiché ovunque noi abbiamo a che fare col nulla, ovunque noi ci troviamo nell’oscurità più profonda — giacché la più profonda radice di ogni oscurità è credere, appunto, che il nulla, l’assolutamente nulla, sia qualcosa, e vivere conformemente a questa convinzione. L’intero universo è sbilanciato, spaesato, sfigurato e noi viviamo in esso, sbilanciati, spaesati, sfigurati, per quanto grandi e belle e potenti siano le cose da noi fatte e pensate. Nell’oscurità, che senso possono avere la salvezza, la felicità, il piacere? Infatti, anche se non vogliamo riconoscerlo, noi, in fondo — un fondo che spesso si lascia vedere —, siamo sempre scontenti di ciò che siamo ed abbiamo.
Ma non è questa l’ultima parola.
L’assurdo non ha partita vinta. Bisogna, però saperla giocare. La si gioca male quando, ad esempio, si crede di vincerla decidendo che la parola «nulla» è assolutamente priva di senso.. Qui si gioca male, perché l’espressione «ciò che è assolutamente privo di senso»«è un sinonimo della parola «nulla». Gettato dalla finestra, il nulla rientra dalla porta. La maggior parte dei saggi dell’ultimo numero della rivista «Il pensiero», diretta da Vincenzo Vitiello , si riferisce appunto al modo in cui nei miei scritti si mostra perché l’ultimo orizzonte — come chiamarlo altrimenti, in questa sede? — ci rende liberi dalla minaccia e dall’assurdo del nulla. (e ringraziando tutti i collaboratori mi congratulo per le loro riflessioni). A questo tema si è riferito anche lo storico della psicologia Gabriele Pulli, nel suo libro Freud e Severino , (Moretti e Vitali Editori). In queste pagine interessanti il discorso sul nulla si allarga e si unisce alla tesi, sostenuta da Pulli, del carattere complementare degli scritti di Freud e dei miei. Anche in questo caso c’è da discutere.
Comunque, è inevitabile che, qui, il mio discorso sul nulla rimanga in sospeso, e forse fin troppo pericolosamente in sospeso. Si tratta di scorgere il senso autentico dell’ ambiguità del nulla.. Giacché soprattutto di esso è necessario dire: Nec tecum , nec sine te.