Roberto I. Zanini, Avvenire 15/3/2011, 15 marzo 2011
PASCOLI E SEMERIA, DIALOGHI SULLA FEDE
«La conoscenza personale con padre Semeria la facemmo il giorno di Pasqua del 1905, qui in casa nostra, dove egli venne improvvisamente nel pomeriggio. Si cenò insieme e si passò insieme una bellissima serata... Preghi per noi. Dev.ma Maria Pascoli». In queste parole, che testimoniano della singolare amicizia fra Giovanni Pascoli e il servo di Dio Giovanni Semeria, è forse racchiusa per intero la controversa figura del poeta: allievo di Carducci, iniziato alla massoneria nel 1882 (la sorella Maria lo ha negato), fortemente attratto dalla tranquilla vita di campagna e sempre pronto a interrogarsi sui perché della fede alla quale sembra ambire, ma che non riesce mai a sentire pienamente.
Parole, quelle scritte nel 1932 da Maria a padre Giovanni Minozzi (l’amico col quale Semeria fonda l’Opera nazionale per il Mezzogiorno d’Italia), che come poche altre illustrano la forza comunicativa e pastorale di Semeria (oggi sono ottant’anni dalla morte, avvenuta in estrema povertà a Sparanise, in provincia di Caserta), capace di lasciare in quella casa un segno indelebile della sua umanità e testimonianza di fede. «È fuori di dubbio – annota il filologo ed esperto di Pascoli, Massimo Castoldi – che dopo quell’incontro Pascoli intensificò il suo interesse per la figura di Cristo. Non è più il Cristo dei primi anni, anarchico e vittima del potere, ma è portatore di un messaggio di pace e non di contrapposizione». Il Cristo, tanto per intenderci, di Canzone del Paradiso, del 1909, che sarà lì ad attenderci: «Ed Egli, il Dio vero, l’Uomo Dio, soave, / ci dirà pace, ci dirà: Son io». Questo interessante salto fra il prima e il dopo Semeria in Pascoli è documentato nel saggio dello stesso Castoldi, Le ali novelle del cristianesimo. Nota sui rapporti fra Pascoli e Semeria, pubblicato in questi giorni, per le Edizioni Fiorini, nella raccolta ’In memoria di Clemente Mazzotta’, per anni presidente dell’Accademia Pascoliana di San Mauro. Nel saggio (così come in un apposito capitolo di Pascoli , Il Mulino) Castoldi percorre i rapporti fra i due personaggi anche attraverso il ricco epistolario. Si conoscono ventidue lettere di Semeria a Pascoli e nove di Pascoli a Semeria. Numeri che fanno intendere come resti da scoprire buona parte del carteggio.
Tutte le lettere di Semeria sono infatti raccolte nella biblioteca della casa del poeta a Castelvecchio. «Molte di quelle a Semeria sono invece disperse. Un po’ perché lo sterminato archivio semeriano non è ancora riordinato, un po’ perché il barnabita era tipo che donava senza troppo guardare e non è escluso che abbia elargito anche qualcuna delle lettere scrittegli dall’amico, che spesso leggeva nelle conferenze in tutto il mondo». Le prime risalgono al 1903. In quell’epoca al frate era già capitato di recitare pubblicamente versi di Pascoli. In una conferenza dal titolo significativo, ’Esiste un’arte cristiana moderna?’, tenuta nel 1902 a Palermo e a Torino, Semeria cita brani di Nel carcere di Ginevra e di I due fanciulli per sostenere che «Pascoli, checché ne sia delle sue idee filosofiche, metafisiche, dogmatiche, è stato sempre, anzi è divenuto ognora più cristiano nelle sue tendenze morali, che sono la vera anima della sua poesia». Una identificazione col cristianesimo che Pascoli avalla, senza però mai mostrare di esserne convinto. In una lettera del 16 novembre 1907 Semeria gli chiede il permesso di pubblicare tre sue poesie di «soggetto evangelico». Nella risposta, del 25, il poeta dà l’assenso, ma dichiara apertamente di non avere ben chiaro di quali «frammenti» si tratti all’interno di quei componimenti. Del resto, un anno prima, Pascoli confessa a Semeria il suo sentire: «Io penso molto all’oscuro problema che resta... oscuro. La fiaccola che lo rischiara è in mano alla nostra sorella Morte. Oh! Sarebbe pur dolce cosa credere che di là fosse abitato. Ma io sento che le religioni, compresa la più pura di tutte, la cristiana, sono, per così dire, tolemaiche. Copernico, Galileo le hanno scosse. Come credere che per un pianetino così insignificante si siano fatte tante cose grandi e uniche?... Soltanto per noi Dio si è fatto carne? A ogni modo bisognerebbe dare al cristianesimo ali novelle, perché possa trascendere il meschino sistema solare... Mi scusa e perdona?». Nelle lettere e nei loro incontri i due amici affrontano i temi più disparati. Si soffermano sui fatti di cronaca, compreso il processo contro i fratelli Linda e Tullio Murri, per l’assassinio del marito di lei, forse il primo grande caso mediatico dell’Italia moderna. Molte volte discutono su temi danteschi, avendo entrambi la convinzione, al contrario della critica carducciana, storicistica e positivista, che la Commedia possa essere letta anche in chiave morale. Nel 1902 Semeria resta affascinato da un saggio, Colui che fece il gran rifiuto, in cui per Pascoli «a spiegare Dante basta sovente il catechismo». Il poeta si interessa al viaggio in Russia di Semeria e al suo incontro con Tolstoj. Nel luglio del 1905, in una lunga lettera, Pascoli chiede a Semeria consigli per l’allestimento della cappella funebre nella casa di Castelvecchio, dove sarà sepolto con Maria. Nello stesso periodo il frate si mobilita perché al poeta venga assegnata a Bologna (come avviene) la cattedra universitaria che era di Carducci e si impegna anche in un dibattito epistolare con Fogazzaro, che ritiene Pascoli non adatto. Per Pascoli, Semeria è «amatissimo Padre», «Carissimo frater». In una lettera del 1906 viene definito «apostolo del Verbo che s’incarna». Nell’ascoltare una conferenza pascoliana a Pisa nel 1905, in onore dei cinquant’anni di episcopato di Geremia Bonomelli, Semeria si commuove e riferendo al vescovo di Cremona, scrive: «Ho visto la Messa d’oro del nostro Pascoli. Sono felice d’averci un pochino cooperato. Oh se il cristianesimo tornasse a essere una gran carità, quante anime attirerebbe ancora a Sé e condurrebbe a Dio!». È il programma di vita che Semeria realizza in se stesso finita la Grande guerra, dopo essersi scrollato di dosso i tanti ostracismi di cui è stato bersaglio.
Proprio a causa di quelli, nel 1912 gli viene impedito di recarsi ai funerali di Pascoli. Ne parla solo in una conferenza al Cairo nel 1913: «Mi fu negato d’assisterlo al suo letto di morte, dove la mia presenza gli sarebbe certo stata gradita».