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 2004  luglio 27 Martedì calendario

La gara di Ivano Beggio su Aprilia: in cima al mondo e ritorno (a manetta), Il Sole-24 Ore, 27/07/2004 Venezia

La gara di Ivano Beggio su Aprilia: in cima al mondo e ritorno (a manetta), Il Sole-24 Ore, 27/07/2004 Venezia. A Scorzè se lo ricordano ancora il giovane Ivano: secco e lungo col sorriso americano stampato in faccia e sempre a cavallo di un cinquantino con la marmitta più scoppiettante dei fuochi d’artificio della festa del Redentore di Venezia. Quel cinquantino Ivano l’aveva messo insieme pezzo dopo pezzo nella bottega di papà Alberto, la premiata ditta Aprilia (papà Alberto impazziva per la Lancia Aprilia) produzione, riparazione e vendita di biciclette. La marmitta aperta e il serbatoio che va personalmente colorato di oro e azzurro erano per lui come il cavallo e l’armatura di un cavaliere. Capitan Fracassa l’avevano soprannominato le massaie del suo paese, che la domenica non riuscivano a sentire neppure le campane della chiesa e rincorrevano la moto del giovane Beggio gettandogli dietro ciabatte e secchi d’acqua. Ma l’Ivano era imprendibile: accelerava a manetta fino a sbiellare il motore, volando letteralmente sulla campagna piatta e infinita che da Padova corre verso la laguna veneziana. Da quella domenica del 1960, Ivano Beggio non ha mai smesso di accelerare. Il freno, per lui, è sempre stato un dettaglio, quasi un controsenso. I motori devono urlare, divorare l’asfalto, battere record, sbalordire chi le guida e chi le vede sfrecciare. Uno così non può che cominciare dalle corse. Cross o regolarità cambia poco. Dal ’72 i sette operai di papà Alberto passano a Ivano. Lui vuole infastidire i miti su due ruote come Ktm, Zundapp, Beta, mostri di potenza e fama che s’impennano pure di quarta. Scarabeo. Dall’officina di papà Alberto stavolta esce una moto vera, lo Scarabeo, 50 e 125 cc, un serbatoio color oro metallizato che ipnotizza a prima vista. L’intuito per il colore, il gusto del design e i desideri dei clienti Ivano li sente qualche anno prima degli altri, come i pescatori della laguna avvertono lo scirocco quando c’è ancora bonaccia. Beggio, senza saperlo, è il Benetton delle moto. E come Benetton, quando gli ordini cominciano a fioccare, è così lesto da mettere in piedi una rete di terzisti lombardi, emiliani e veneti che nella nuova fabbrichetta di Noale, un bel paese con le mura medievali ancora intatte praticamente attaccato a Scorzé, scaricano dalle forcelle ai motori, dai telai ai freni. «Assemblatore», lo chiamo i suoi paesani. Sembra dispregiativo. Ma l’assemblatore già nel ’76 e ’77 vince il campionato italiano delle 125 e delle 250. I modelli sperimentati nelle competizioni entrano poi in produzione. Funziona. Funziona talmente bene che Ivano, all’inizio del 1980, avvia la produzione in serie di motociclette di piccola cilindrata. A Noale si studia e si progetta la moto. Il resto lo fanno gli artigiani e le fabbrichette meccaniche sparse per la Padania. Ivano è un maniaco del design. lui che approva i progetti, lui che decide i colori, lui che spiega ai manager cosa vogliono i giovani. Quello con i manager è un capitolo tormentato. Beggio è un testardo di talento. I fatti gli danno ragione, ed è praticamente impossibile che un manager possa averla vinta se di fronte si trova l’opposizione del capo. Gli anni ’90 sono quelli della consacrazione. Beggio sfonda il fronte degli scooter con linee aggressive, invenzioni stilistiche come lo Scarabeo, stesso nome della moto da cross del ’71. L’affinità finisce qui, Scarabeo è il primo scooter a ruota alta: maneggevole, comodo, elegante, alla moda. L’Aprilia ne vende centinaia di migliaia e di colpo vale metà di un fatturato che viaggia verso i mille miliardi, con utili netti che superano i 50. Scarabeo è un’altra idea del signor Ivano, che nel frattempo raccoglie a piene mani i trofei iridati su pista: Max Biaggi e Valentino Rossi sono la proiezione dell’Ivano-Capitan Fracassa degli anni 60. Coraggio da leoni, grinta da vendere, fame di successo: 24 titoli mondiali in meno di trent’anni. Caso mediatico. I giapponesi lo guardano con deferenza. Beggio diventa una caso mediatico. Quel sorriso americano a 32 anni denti e lo sguardo tra il miracolato e il predestinato sembra fatto apposta per allargarsi nei box dei circuiti di tutto il mondo, sulla Cnn, nei talk-show. Un sorriso così piace agli studiosi americani d’impresa che celebrano l’Aprilia per i costi fissi ridotti all’osso e una flessibilità praticamente irragiungibile dagli altri competitori mondiali. A Scorzé nessuno si permette più di chiamarlo «l’assemblatore». E tanto meno Capitan Fracassa. Ora è diventato ingegnere, cavaliere e perfino banchiere, fresco di due lauree honoris causa, di un titolo di cavaliere vero, quello del Lavoro, e della presidenza della Cassa di Risparmio di Venezia. Fino al ’98 è stata una corsa trionfale con una sola macchina: nel ’92, con le casse piene zeppe di utili, alcuni docenti bocconiani consigliano a Beggio di diversificare nei mobilifici, nell’occhialeria e in una fabbrica di scarpe. un bagno di sangue che costa all’azienda 70 miliardi di vecchie lire, il soccorso di una cordata di banche e un’inimicizia perenne verso i professoroni che «pontificano senza rischiare mai nulla». Il ricordo di questo errore si diluisce nel tempo. Il ’98 è l’anno in cui Beggio taglia il traguardo di una corsa cominciata sul rettilineo di Scorzé una domenica qualsiasi del 1960. I consulenti lo implorano: quotati in Borsa, tieni il 20% del capitale, dedicati alle corse e al design. Lui non ne vuol sapere. Ormai è un’icona del motociclismo mondiale. L’azienda gira, gli affari si moltiplicano, perché aprire ad altri soci proprio adesso? Forse è l’errore più grande dell’Ivano. Il vento cambia. Arriva lo scirocco, uno scirocco potente con raffiche bollenti e tese come quelle dell’Acqua Granda che sommerse Venezia nel novembre del ’66. Stavolta Ivano non annusa il vento contrario, e i suoi manager nemmeno. Loro gli dicono: nel 2003 il mercato crescerà del 30%. L’anno scorso, invece, il mercato crolla del 30%, dopo il calo consistente del 2001 e 2002. Di scooter non se ne vendono più. «I miei manager? Li ho cacciati perché hanno sbagliato previsioni del 60%» dice lui. La Guzzi. Nel 2000 un altro passo falso. Beggio vuol fare le cose in grande, sfidare i giapponesi, e compra il celeberrimo marchio Guzzi per una cifra che per molti osservatori è quasi il doppio del suo valore reale: 130 miliardi. Sua moglie Tina, che al mattino entra con lui in azienda, lo implora: «Ivano, lascia perdere, la Guzzi non è roba per noi». Lui, ancora una volta, fa di testa sua. E mentre il mercato degli scooter soccombe sotto il peso di vincoli normativi e costi di gestione sempre più salati, Ivano pretende di produrre in proprio un motore mille di cilindrata che faccia paura ai tedeschi della Bmw, ai giapponesi della Yamaha e agli americani dell’Harley Davidson. Fa in tempo a presentare la Guzzi della riscossa, che guarda caso ha il nome di un vento, la Breva, la brezza pomeridiana del lago di Como che arriva dopo l’ultimo soffio del Tivano e di solito annuncia bel tempo. Le banche. una delle ultime apparizioni pubbliche di Ivano Beggio. Ormai pure la Breva è un refolo che non increspa neppure l’acqua. Le banche, come nel ’92, bussano alla porta dell’azienda di Noale. Gli istituti di credito pretendono 15 milioni di fidejussioni firmate dall’imprenditore veneziano per concedere un prestito ponte di 30 milioni. Lui paga per il bene dell’azienda, ma il giocattolo si è rotto. Tra il ’99 e il 2001 il debito a breve è esploso da 35 a 136 milioni. Il pool di banche guidato da Imi San Paolo, il gruppo che controlla Carivenezia, di cui Beggio è stato presidente per quasi quattro anni, gli chiede senza tanti giri di parole di fare un passo indietro. L’Aprilia, la sua Aprilia, nelle mani delle banche e dei manager. Beggio non apre bocca e non sorride più. Agli amici più cari confessa che Aprilia dovrebbe finire alla bolognese Ducati, un’altra azienda storica italiana nelle mani di un fondo americano. Ma sono speranze che coltiva guardando la collina pettinata di verde su cui affaccia la sua villa di Asolo. La moto di Capitan Fracassa si è spenta di botto. La sua avventura imprenditoriale è finita come piaceva a lui. Neppure un colpo di freno, semmai un’accelerata estrema, l’ultima, con l’acquisto della Guzzi, prima che il motore da 500 milioni di fatturato della sua creatura rimanesse senza il carburante necessario per pagare quei fornitori che insieme all’Ivano hanno fatto grande l’Aprilia, il Nord-Est e il made in Italy. Mariano Maugeri